INCONTRO IN EGITTO
PENELOPE LIVELY
GUANDA 2005
Traduzione: Gaspare Bona
Penelope Lively è una continua piacevole scoperta
Come spesso accade nei libri di
Lively, Incontro in Egitto (vincitore del Booker Prize nel
1987) si dedica alla rappresentazione del valore del Tempo nella vita
dell’essere umano. Il Tempo, entità fluida e inafferrabile, intonata dal caos,
orchestrata dal destino, che ci invita a riflessioni profondissime e spesso
sconcertanti sulla nostra esistenza e sulla differenza tra realtà e non-realtà,
su un oggi che è, misteriosamente, un livello di percezione intercambiabile con
il passato e con altri infiniti piani di verità.
Il libro racconta, attraverso una
molteplicità di io narranti che ci permette subito di cogliere la necessità di
una realtà non assoluta, la storia di Claudia, un’anziana donna in punto di
morte che torna indietro nel tempo e ci presenta la sua vita. Claudia, ex
reporter di guerra, ha una personalità forte, voluminosa, a volte eccessiva,
scevra di compromessi e di ipocrisie. È una donna che si è occupata di
storiografia e che ha dovuto meditare a lungo sulla natura del Tempo, sul
significato e sulla funzione della figura dello storico e sul suo rapporto con
il Vero, sulla potenza del linguaggio e infine, e dunque, su se stessa: «Non
c’è cronologia nella mia testa. Sono fatta di una miriade di Claudie che
vorticano e si mescolano e si dividono come scintille di sole sull’acqua»;
«Quando voi e io parliamo di storia, ci occupiamo forse di ciò che è
realmente avvenuto? Del caos cosmico in ogni luogo e in ogni tempo? No,
parliamo di come tutto ciò viene ordinato nei libri […]. La storia si dipana;
le circostanze, per naturale inclinazione, preferiscono rimanere aggrovigliate»;
«il tempo e l’universo sono sparpagliati nelle nostre menti. Siamo storie
del mondo assopite».
Tra i tanti episodi della vita di Claudia,
quello centrale è il suo “incontro in Egitto” durante la seconda guerra, che la
costringe a mettersi a confronto con la barbarie della battaglia, la decadente
ideologia del colonialismo, la bellezza sfiancante del deserto e la potenza
trascinante dei sentimenti. Le parole che Lively, nativa di Il Cairo, usa per
descrivere l’Egitto – ultimo balenio dell’impero britannico – sono seduttive,
colme di struggimento: «Nel ricordo non c’è che la spalla bassa e lunga
della collina fulva che domina la Valle dei Re, dietro alla quale s’inabissa il
sole fra pennellate d’oro, di rosa e di turchese. La mite sera egiziana risuona
del tintinnio del ghiaccio nei bicchieri, dello sciabattare dei camerieri sulla
terrazza di pietra dell’albergo, del brusio di voci, delle risate: suoni di
cento altre serate». Questo libro è davvero bellissimo: uno di quei romanzi
traboccanti di umanità, che ti rendono felice e orgogliosa di essere una
lettrice.
Mara