Titolo: DISSIPATIO H.G.
Editore: Adelphi 1977
Il nostro incontro del 27 Aprile
aveva come ospite Guido Morselli e il suo libro "Dissipatio H.G". Tanta è stata
la curiosità per questa lettura che è arrivato anche un commento di una gradita
ospite (che ci conosce per la bella frequentazione agli eventi della sempre
rimpianta Libreria Morelli). Riportiamo quindi, il contributo di Natasha
contraccambiando il suo ringraziamento rivolto ad Oreste e a tutto il Gruppo
che, attraverso Laura, le ha fatto conoscere questo libro intenso.
"Ritengo che
la conoscenza della vita e delle esperienze dell’autore siano elementi
importanti per comprendere molte parti in cui si ritrovano il suo pensiero, le
sue convinzioni, la sua solitudine. E’ un testo, per me, difficile, certe parti
mi sono state del tutto incomprensibili dato che non dispongo dell’adeguata
competenza su temi filosofici e riferimenti critici. Ciò non mi ha scoraggiato,
ma mi ha invitato al proseguo scoprendo riflessioni profonde, puntuali su temi
tuttora attuali che hanno come fulcro comune la grande delusione verso il genere
umano. Il ruolo centrale che l’uomo rivendica su tutto lo porta ad essere il
responsabile dell’“Imbruttimento del mondo” per il “danno e il fastidio di cui è
produttore inesausto”; con i suoi pensieri e le sue azioni può diventare “il
grande nemico” di natura, ambiente, comunicazione, informazione a favore di
sfruttamento, consumismo, inciviltà, sregolatezza economica e politica. Se
l’uomo è l’autore di questo “deturpamento generale”, esso può scomparire, per
estrema sintesi, solo con lo scomparire del genere umano. Ed ecco la Dissipatio
Humani Generis, la fine della specie umana, ossia di “una certa razza di
bipedi”, evaporata, nebulizzata. Se è questo il significato inteso con la
“dissipazione”, non si può non esser portati a pensare anche alla “dissipazione”
di tutte quelle risorse che l’uomo potrebbe disporre in vita in termini di
“apprendimento, esperienza, interessi” ma si riduce ad un essere “impassibile,
insensibile, indifferente, impartecipe al mondo esterno”, cosicché vita e morte
si assomigliano. “Adesso che loro si fanno desiderare, o cercare se non altro,
comincio forse a misurare la loro importanza” potrebbe essere, questa frase, un
cauto cenno di vicinanza umana, ma in ultima analisi non è né appagante, né
persuasiva vista quella che poi sarà la scelta di (fine) vita che l’autore farà
da lì a poco assieme alla sua “ragazza dall’occhio nero”. Che dire se non
che….”Sicuramente, in quanto a esperienza, è un saggio di eternità”.
Da questo
interessante commento inizia la nostra discussione dalla quale si diramano molte
considerazioni. La prima è l'eterna convivenza tra l'uomo e la Natura, la
superbia del primo nel credersi protagonista assoluto dell'esistenza e la
silenziosa presenza della seconda, eterna immortale e padrona. Lo scorso anno lo
ha dimostrato, gli uomini hanno dovuto farsi da parte, travolti da un'epidemia
che li ha ridimensionati a spettatori immobili di uno spettacolo della Natura
che sembrava esibirsi in tutta la sua potenza riappropriandosi degli spazi e dei
confini. "La Natura non si è accorta ... forse si rallegra di riavere in sé tutta la vita, chiuso l'intermezzo breve che per noi aveva il nome di Storia" La
filosofia che sottende a questo romanzo affronta molte domande universali, e
mentre lo si legge salgono alla mente i grandi principi del nostro vivere: la
solitudine e il disagio di stare al mondo descritto in modo preciso e profondo
perché frutto, forse, del pensiero dell'autore che concluderà la sua vita
suicidandosi pochi mesi dopo aver scritto il libro. Ed è proprio dal mancato
atto del suicidio che ha inizio il racconto:, un uomo che pochi istanti prima
del fatale gesto si ricrede e si ripresenta al mondo, un mondo che però non
offre più sembianze umane, dissoltesi, volatilizzate. Lo sguardo attonito e i
passi del protagonista si muovono alla ricerca di testimonianze umane in una
atmosfera onirica. L'uscita dal luogo nascosto e sotterraneo dove doveva
compiersi il suo destino ci ha ricordato la caverna di Platone, la condizione
dell'essere umano che deve liberarsi dalle catene del suo genere per cercare la
verità autentica del mondo. Il suo procedere per la città di Cristopoli gli
restituisce quel che del genere umano è rimasto: segni, impronte, oggetti,
odori, elementi che rendono presente l'uomo anche in sua assenza.
"...c'è
l'assedio delle piccole cose care. Piccole cose familiari e vischiose, gli
oggetti che ti riagguantano, e ognuno ha il suo modesto fascino prensile,
tenace, è la foto fatta da te, della neve d'aprile sul tetto, ... la macchina da
scrivere col foglio infilato nel rullo...e ognuno con il suo struggente appello,
con la sua insidia: vuole intrattenerti legarti, si stupisce che tu abbia
pensato di...Ma infine se torni, ti dicono, se sei ancora qui, è stato anche per
noi".
L'ossessione tra possedere e liberarsi degli oggetti e delle persone si
ripercuote anche nel sentimento dell'amore percepito come aspirazione al
possesso per poter liberarci di esso e passare ad altro confinando nel passato
l'esperienza. Le domande si fanno sempre più insistenti, che fine hanno fatto
gli uomini, cosa determina la morte, qual è il nostro spazio dopo la morte?, e
il grande senso del tempo, senza l'uomo cosa rappresenta? alla ricerca delle
risposte e tra celebrazione del mondo finalmente ripulito da ideologie, e
pregiudizi della società e senso angosciante della solitudine, il protagonista
si libera di tutti i conformismi, si lascia crescere la barba, si veste
comodamente azzerando la differenza di genere maschile - femminile, ed esprime
il desiderio di rincontrare l'unico amico che aveva conosciuto in una clinica
in Svizzera il Dr. Karpinsky, presenza positiva, un medico buono, caritatevole,
generoso. Noi conosciamo il destino del medico morto in circostanze accidentali,
ma lo scopo di riunirsi a lui tiene vivo nell'uomo l'interesse per la vita e ne
rappresenta la riconciliazione . Ed è in questa attesa che si concretizza la
nuova concezione del tempo
“Sto scoprendo che l’eterno, per me che lo guardo da
un’orbita di parcheggio, è la permanenza del provvisorio. La dilatazione estrema
dell’attimo, e in termini empirici questo vuol dire: stato di differibilità
assoluta. Agisco ma non posso preventivare la durata dell’azione, so solo che è
incalcolabile.... Viene, semplicemente, a cercarmi, e è già in cammino. La mia è
una certezza, non propriamente un’attesa, e mi libera da ogni impazienza. Me ne
sto a guardare, dalla panchina di un viale, la vita che in questa strana
eternità si prepara sotto i miei occhi"
Un tempo che annulla la differenza fra
vita e morte. "...ciò che significa per noi essere morti. Impartecipazione al
mondo esterno, insensibilità, indifferenza. Stabilito che la morte è questo, si
conclude che la vita le assomiglia, il divario essendo puramente quantitativo.
Idealmente la vita dovrebbe essere apprendimento, esperienza, interessi, ma lei
capisce che in confronto alla vita in questa sua ideale e mai raggiunta
pienezza, in confronto alla molteplicità delle esperienze teoricamente
possibili, ognuno di noi non è molto diverso da un morto" l
La discussione volge
al termine con tante interessanti digressioni che a partire dalle vicende
biografiche dell'autore, dall'incomprensione degli intellettuali contemporanei,
dalla sua esclusione editoriale illumina il periodo dell'attivismo politico
degli anni '70, richiama testi e musica di Gaber, e apre nuove finestre per i
prossimi incontri.
#disegnaresuilibri - Oreste Sabadin
Prossimo libro: Il quinto figlio di Doris Lessing