24 aprile 2021

Consiglio di Aprile - quarto - La bellezza delle cose fragili - Taiye Selasi

 


Titolo: LA BELLEZZA DELLE COSE FRAGILI

Autore: TAIYE SLASI

Editore: Einaudi 2013

Traduzione: Federica Aceto

E' inevitabile pensare all'incipit più famoso della letteratura _ "tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo"_, al termine del romanzo "La bellezza delle cose fragili" di Taiye Selasi, giovane autrice britannica di origine ghanese e nigeriana.
E anche in questo caso l'incipit cattura:
"Kweku muore scalzo, una domenica all'alba, le pantofole all'uscio della camera, come cani", _ da questa scena origina il lungo racconto che progressivamente ci fa conoscere le storie e i segreti di ognuno degli elementi della famiglia, pagina dopo pagina i personaggi guadagnano consistenza e profondità. Ci vengono presentati ad uno a uno dapprima solo con un elemento distintivo: tristezza, angoscia, mancanza, e solo con lo scorrere delle pagine la superficialità viene penetrata e poi scolpita finché la personalità di ognuno si delinea e prende il posto in quel cerchio che solo una volta completato prende il nome di famiglia.
"i Sai, sono senza peso, cinque persone sparse per il mondo, una famiglia senza gravità. Una famiglia che non ha sotto niente di cosí pesante come i soldi, che servono per tenerli fermi allo stesso pezzo di terra, un asse verticale, sotto di loro niente radici, nessun nonno vivente, senza storia, orizzontali – sono andati alla deriva, si sono dispersi verso l’esterno, o verso l’interno, notando a malapena quando un altro familiare si è allontanato".
Il libro mi è piaciuto molto, per l'originalità della scrittura, per il ricorso a strumenti particolari (la presenza di un cameraman che occasionalmente compare per spostare il punto di vista, a richiamare forse l'altra passione dell'autrice: la fotografia), per la capacità di dipingere le persone con poche parole precise, e per il viaggio geografico, storico e intimo che ci fa compiere Taiye Selasi. L'approdo in terra africana è da subito colorato acceso e stimolante:
"La persistenza della bellezza, proprio nelle cose più fragili, una goccia di rugiada all'alba, una cosa destinata a finire nel giro di qualche istante, in un giardino, in Ghana, il Ghana, terra rigogliosa, morbida, verde, dove le cose fragili muoiono.".
"Le palme che si allungano in avanti in angoli di quarantacinque gradi sembrano scuotersi i capelli sulla sabbia, sopra lunghe barche di legno dai colori spettacolari, decorate con festoni neri per le alghe e bianchi, blu e verdi per le reti"
E' lì che queste anime raminghe si ritrovano per rendere l'ultimo saluto al padre e per riannodare i fili disciolti negli anni.
Una madre, forte, silenziosa, riservata, che non risponde delle sue decisioni, un figlio maggiore che sente troppo pesante la responsabilità del padre, una figlia minore che vive con angoscia l'essere la prediletta ma anche la dimenticata e i due gemelli, anime affini che travolgono con la loro sconvolgente storia vissuta cercando di sollevarsi al di sopra e al di fuori del loro destino.
Anime complesse e affascinanti:
"sono due metà di un solo spirito, uno spirito troppo grande per essere contenuto in un solo corpo. Sono esseri liminali, metà umani, metà divini, e devono essere onorati come gli si confà, se non addirittura adorati. Il secondo gemello, in particolare, il changeling e il trickster, meno affascinato dalle cose del mondo rispetto al primo, viene sulla terra con grande riluttanza e vi rimane con un maggiore sforzo, consumato dalla nostalgia per i regni spirituali. Alla vigilia del giorno in cui i due gemelli nasceranno, ognuno nel proprio corpo fisico, il secondogenito, scettico, dice al primo: «Vai fuori e vedi se il mondo è un bel posto. Se è cosí, restaci. Se non lo è, torna indietro». Il primo gemello, Taiyewo (dallo yoruba to aiye wo, «vedere e assaggiare il mondo», abbreviato in Taiye o Taiwo) lascia docilmente l’utero e parte per la sua missione di ricognizione. Trova il mondo di suo gradimento e decide di rimanere. Kehinde (dallo yoruba kehin de, «arrivare dopo»), vedendo che la sua metà non torna, si appresta senza fretta a raggiungere il suo Taiyewo, degnandosi di assumere una forma umana. Gli yoruba quindi considerano Kehinde il piú grande: nato per secondo, ma piú saggio, e quindi «piú vecchio".
E quando tutte le figure trovano completezza, in quella casa disegnata dal padre che diventa famiglia cosa resta?
"Piú tardi, molto piú tardi, dopo che la luna è sorta e il giorno ha vissuto la sua spettacolare morte in un tripudio di rosso e arancio iniettato di sangue, blu e magenta, un tramonto mozzafiato che nessuno di loro ha visto, si siedono di nuovo a tavola (riso, minestra di melanzane; tutti tranne Taiwo, che sta riposando), poi scivolano via ognuno verso la propria stanza, ognuno seguito da una debole scia di ferite e flebili speranze, che si insinuano sotto le porte che si chiudono"

Micaela

Libro del mese di Marzo 2021 - Gita al faro - Virginia Woolf

 

Titolo: GITA AL FARO

Autore: VIRGINIA WOOLF

Editore: Einaudi 2014  

Traduzione: Anna Nadotti

I Edizione: 1927

Virginia Woolf. Già nel pronunciarne il nome compare rispetto e deferenza. Il talento di questa scrittrice si percepisce fin dalle prime parole di qualunque sua opera. Ha quel modo geniale e unico di aprire il sipario e presentarti la vita così come sta accadendo senza premesse, senza spiegazioni. E fin dalle prime frasi, ci si trova tra i protagonisti, si ascoltano i loro dialoghi, si osservano gli spostamenti, le espressioni, si interpretano le posture, i pensieri.

E' il secondo romanzo di Woolf di cui parliamo nel nostro gruppo e come per Mrs Dalloway anche per Gita al Faro i commenti sull'eccellenza che la scrittura dell'autrice raggiunge sono indiscutibili. Parlare dei suoi romanzi apre porte e mondi, disegna linee del tempo variabili, ci trascina fuori e ci ricaccia dentro, ci pone davanti rivelazioni e universali incertezze. E lo fa raccontando episodi semplici di vita quotidiana. Ecco che una gita diventa metafora della vita che passa e  del suo svolgimento. Uno svolgimento che prevede in questa opera, tre atti e la presenza di diversi personaggi ognuno dei quali pare dire "Virginia c'est moi".

Il luogo di inizio è una casa di vacanza con un'ampia finestra che proietta all'orizzonte una costruzione magica e misteriosa: un faro. Nel mezzo quel TO particella che, in lingua inglese, apre a diverse ipotesi: Moto a luogo,  stato in luogo o piuttosto dedica? E' Anna Nadotti a scegliere di intitolare la versione italiana Gita al faro sciogliendo il dubbio interpretativo e lasciando prevalere l'idea del movimento sulla staticità presente nella traduzione di Fusini (Al faro). Al di là delle due versioni non si può negare che l'insieme di richiami acustici ce descrizioni accurate che troviamo disseminati nelle pagine ne fa un'elegia del ricordo e una dedica ad un luogo amato.

Il romanzo narra le vicende di una famiglia e dei suoi amici nell'arco di un decennio,  un decennio fondamentale perché vede abbattersi sul mondo  un evento enorme: la I grande guerra. I protagonisti sono un padre, uomo autoritario, rigido e autocentrato, una madre, donna bellissima dolce, accondiscendente che emana però stanchezza, i figli e una serie di personaggi che li accompagnano durante le vacanze nella loro dimora nell'isola di Skye. I protagonisti danno vita ai tre atti, il primo e il terzo ampi, il secondo che lega i due, brevissimo, svelante alcuni particolari fondamentali.

Fin dal meraviglioso incipit appaiono i tratti fondamentali della scrittura di Woolf e possiamo azzardare che in quella prima pagina vi sia già tutto il significato del romanzo che inizia con il  desiderio del giovane Ramsay di andare in gita l'indomani, un desiderio che si colora di speranza nelle parole della mamma e con la stessa intensità si scolora nelle parole del padre che afferma con certezza l'impossibilità dell'uscita per il cattivo tempo. Già dalla prima pagina, poi, fa la sua comparsa una grande protagonista: la luce che pervaderà tutto il romanzo illuminando di volta in volta i punti di vista.

Nella stessa pagina vi è tutta la poesia degli oggetti immateriali descritti in modo incantevole dall'autrice che sa dare animo e vita ad una carriola, ad una falciatrice, ad un frigorifero. 

"Così James Ramsay, seduto sul pavimento a ritagliare le figure del catalogo illustrato dei Magazzini dell'Esercito e della Marina, quando sua madre parlò, sulla figura di un frigorifero riversò beatitudine paradisiaca. Era contornata di gioia. La carriola, la flaciatrice, la musica dei  pioppi, foglie biancheggianti prima della pioggia, cornacchie gracchianti, ginestre sbatacchianti, vestiti fruscianti". Oggetti che si caricano di esperienze che sopravvivono agli eventi e che si personalizzano.

Una delle scene che appartengono a questa prima parte che ha colpito tutti partecipanti  contiene già il concetto del movimento parola fondamentale per comprendere un'opera che svolge le scene quasi come ci fosse una macchina da presa, persone che si spostano, occhi che si parlano incontrandosi, una visione innovativa nella stesura di un romanzo di quell'epoca.

Il ritmo dello scorrere del tempo in questo romanzo obbedisce alla straordinaria capacità dell'autrice di dilatare e restringere a piacimento le scene di vita. Basti pensare che nelle poche pagine della seconda parte avviene un evento mondiale come la I guerra mondiale,  muore la protagonista femminile della storia Mrs Ramsay, muoiono due figli, uno a causa dell'esplosione di una bomba e una di parto, si disgrega una famiglia. Passano ben 10 anni dall'unico giorno raccontato nella prima corposa parte e il giorno della gita.  Gli eventi che succedono in questi anni benché importantissimi vengono collocati nell'immobilità di due parentesi quadre, e dentro questo spazio avvengono fatti tragici, morti violente, cruente esplosioni, il piano temporale viene quasi violentato da questi inserti  brutali.

Nella terza parte riappare la casa, stavolta svuotata dalle relazioni, svuotata dagli oggetti dove il vedovo Mr Ramsay torna con gli stessi amici con  due dei figli con l'intento di fare quella Gita incompiuta dieci anni prima. In tutto questo tempo una vecchia donna ne ha custodito la presenza in modo decisamente trascurato ma all'annuncio del ritorno dei proprietari torna e rimette tutto apposto. Nelle azioni e nelle parole della signora abbiamo colto il lavoro dignitoso della classe più umile e anche in questo messaggio è evidente l'originalità della scrittura di questa autrice sperimentale che  supera la  tradizione vittoriana e si proietta nel modernismo.  

Il ritorno della famiglia è finalizzato a realizzare quella gita, rimandata dieci anni prima ed è qui che si realizza il movimento (tanto amato da Woolf, osservatrice e camminatrice appassionata) e in quelle pagine si sente finalmente il mare, si vive il viaggio con lentezza: il tempo si perfeziona nell'evento.  Il passato rivissuto acquisisce peso diverso e una luce nuova nel ricordo.

"Girandosi, guardò la baia, e laggiù, certo, scivolando a intervalli regolari sulle onde, prima due lampi veloci, poi uno lungo e durevole, c'era la luce del Faro. L'avevano acceso."

Ci troviamo d'accordo nel definirlo un libro-mondo senza regole e forse senza un vero protagonista; tra i tanti attori che si muovono in queste scene ognuno occupato a trovare il suo ruolo nella storia e nel mondo alla fine nessuno sarà il vero protagonista, nessuno sarà l'eroe, si può dire forse che sarà il tempo a vincere su tutto  e sarà la pittrice Lilly Briscol nel tracciare il segno finale della sua lunga opera d'arte a decretare che la bellezza salverà la storia di ognuno di loro. Apparentemente un libro duro, muscoloso, aspro, anche faticoso, fondato sull'introspezione dei personaggi, sulle particolari relazioni, sulla poesia che prevale su una trama che affronta dei temi coraggiosi ed audaci, la guerra e la frantumazione del passato, la scelta di non maritarsi di Lilly che preferisce l'arte al canone ordinario della vita, il conflitto femminile tra essere una buona madre e moglie e l'autoaffermazione dell'individuo donna.

Un romanzo apprezzato che rimarrà nei nostri ricordi letterari

Come di consueto elenchiamo qui gli approfondimenti e i suggerimenti citati nel corso dell'incontro.

"Possiedo la mia anima - il segreto di Virginia Woolf" di Nadia Fusini

Alla tavola di Virginia Woolf: Vita in casa di una scrittrice di Elisabetta Chicco Vitizzai

"Vi basta l'atlantico? Lettere tra Virginia Woolf e Lytton Strachey tra il 1906-1931", a cura di Chiara Valerio e Alessandro Giammei - Edizioni Nottetempo

"Leggere Woolf" di Sara Sullam

"Il canto del mondo reale" di Liliana Rampello

"Pensieri di pace durante un'incursione aerea" di Virginia Woolf

"Un eremo non è un guscio di lumaca" di Adriana Zarri

Infine una video lezione di Chiara Valerio

 

Arrivederci al mese prossimo con Dissipatio H.G. di Guido Morselli


13 aprile 2021

Consiglio di lettura di aprile - Terzo - La donna del tenente francese _ John Fowles


 


LA DONNA DEL TENENTE FRANCESE

Autore: John Fowles

I edizione 1969

Traduttore E. Capriolo

La donna del tenente francese" pubblicato nel 1969 e ambientato nell'Inghilterra del 1867, sembrerebbe seguire le regole del romanzo vittoriano. Questo potrebbe anche bastare per garantire al suo autore un modesto successo editoriale.

La novità assoluta del libro che ne vale la lettura è la partecipazione continua, "intrusiva", molto ironica dello scrittore, garantendo uno sguardo moderno o forse è meglio dire "postmoderno" agli eventi del 1867. Si impone al lettore come narratore democratico, sono i suoi personaggi a suggerirgli cosa dire e come agire. Crea 3 diversi finali all'opera e alla fine non resiste alla tentazione di "entrare fisicamente" nel romanzo stesso come testimone (moderno Mefistofele?) delle sofferenze di Charles.

La storia, vista con gli occhi indagatori e al tempo stesso dissacranti di Fowles, racconta il periodo vittoriano con le sue contraddizioni e con i suoi principi refrattari a qualsiasi cambiamento, ma anche con i suoi balzi in avanti confermati dalle opere scientifiche ed economico-sociali pubblicate in quel periodo ("L'origine della specie" 1859, "Il Capitale" 1867, "La servitù delle donne" 1869) che spesso aprono i capitoli del romanzo. Tutto ciò si ripercuote nelle vicissitudini sentimentali dei protagonisti.

La donna del tenente francese, l'enigmatica, la misteriosa, la reietta Sarah con il suo bisogno di libertà, simbolo precoce di emancipazione non è altro che lo strumento che consentirà a Charles, di trasformarsi in un uomo nuovo, rompendo con il passato e segnando così il tramonto di una intera epoca.

Patrizia

11 aprile 2021

Approfondimento: La corsara - ritratto di Natalia Ginzburg

 

LA CORSARA- RITRATTO DI NATALIA GINZBURG

Autore: Sandra Petrignani

Editore: Neri Pozza 2018

Durante l'incontro del nostro Gruppo di lettura di marzo ci siamo confrontati sul libro di Natalia Ginzburg "Lessico famigliare". Per apprendere di più sul carattere di questa grande scrittrice  e per svelare qualche dubbio o qualche perplessità che ha lasciato il romanzo, mi sono sentita di consigliare  la lettura di "La corsara",  il ritratto che di Natalia fa Sandra Petrignani, autrice appassionata di ricerca dei luoghi e degli episodi delle scrittrici di cui si è occupata. E lo fa con grande perizia e con animato trasporto  anche in questa biografia che ripercorre gli eventi più importanti della vita di Ginzburg rivelandone  angoli e particolari che aiutano ad esaltarne i lati oscuri, e al tempo stesso disegnano contorni forti e riusciti di una grande donna della nostra letteratura.

D'altronde la stessa Natalia ammette che "se a scuola mi avessero detto qualche semplice cosa chiara sulla vita di Manzoni, le due mogli, i figli morti, le malattie, i viaggi e le discordie, se mi avessero consentito di leggere I Promessi Sposi tutto in un fiato e senza celebrarne a ogni passo la solenne maestà dello stile, li avrei capiti un po' prima". Ecco perché conoscere la vita di questa autrice ci aiuterà a capire meglio le sue opere e gli intenti che le sottendono.

Le sue importanti amicizie maschili, la grande avventura editoriale iniziata all'Einaudi, il timore reverenziale ma anche l'enorme stima per Elsa Morante, la sua vita matrimoniale di sposa, di madre e di nonna, la sua tristezza e la sua determinazione, il gusto e l'intuizione per le buone opere. Nelle 450 pagine di questo libro c'è tutto questo e  vi si trova l'individuo Natalia immerso nella società italiana di anni particolarmente difficili ma anche coraggiosi e incendiati di vitalità e cambiamento.

Il matrimonio con Leone le darà il cognome al quale non vorrà rinunciare nemmeno dopo la morte di lui ed è lei stessa a descrivere chi è il genere di uomo che vuole accanto -  "La cosa strana con questa persona è che ci sentiamo sempre così bene e in pace, con un largo respiro ... con la fronte che era stata sempre così aggrottata e torva per tanti anni, d'un tratto distesa...questa persona, mentre cammina accanto a noi col suo passo diverso dal nostro, col suo severo profilo, possiede una infinita facoltà di farci tutto il bene e tutto  il male. Eppure noi siamo infinitamente tranquilli. E lasciamo la nostra casa e andiamo a vivere con questa persona per sempre".

E sarà lui a lasciarle le linee guida per la vita dopo la sua morte "normalizza appena possibile la tua esistenza, lavora, scrivi, sii utile agli altri"

Un libro ricco di affermazioni della stessa Natalia, che con un lavoro davvero eccezionale Petrignani raccoglie dalle sue opere, dalle interviste, dai ricordi degli amici e colleziona in un affresco reale che risponde allo stile che abbiamo incontrato nella lettura del Lessico, a quel ruolo dell'autore appartato che descrive con sensibile distanza emotiva ciò che succede intorno a lei. In realtà ogni personaggio porta i segni di chi scrive "i miei personaggi erano la gente del paese, che vedevo dalle finestre e incontravo sui sentieri. Non chiamati, non richiesti erano venuti nella mia storia ... e da allora, sempre, quando usai la prima persona, m'accorsi che io stessa, non chiamata, non richiesta, m'infilavo nel mio scrivere".

A proposito dell'utilizzo della prima persona è interessante l'ammirazione che dichiara per la capacità di scrivere di Elsa Morante "L'ho ammirata molto, e sentivo anche dell'invidia, perché lei usa la terza persona, e a me questo è sempre stato impossibile. Io voglio il distacco però non riesco a scrivere che in prima persona... Elsa Morante quando scrive riesce a raggiungere l'altezza delle montagne.. non mi è mai riuscito di salire sulle montagne e vedere tutto dall'alto, non mi è mai riuscito. Invece era questo cui aspiravo".

Soffrirà per questo senso di inferiorità, in parecchie occasioni, mantenendo sempre però un infinito rispetto per la grandezza della Morante, con la quale condivideva un pensiero piuttosto ostico del femminismo. Le due donne appartenevano ad una generazione precedente al femminismo, un concetto fastidioso per loro, "roba da ingenue fanatiche protestatarie, ridicole".  Entrambe, in virtù della considerazione che avevano per la loro letteratura,   mai avrebbero voluto essere classificate scrittrici femminili, si ritenevano distanti da una letteratura carica di sentimentalismo, manierismo, emotività, sdolcinatezza. I loro miti erano maschili.

Tornando allo svelamento del nostro oggetto di lettura ecco in aiuto le parole di Petrignani, che definisce il Lessico famigliare la madeleine della traduttrice di Proust.  Nella traduzione della Recherche, Ginzburg, si convince che  "è impossibile possedere il segreto di un essere umano e che il passato sprofonda inevitabilmente nella dimenticanza e nella cancellazione. Ma l'eco di una frase balorda, il proverbio strampalato, un'intonazione, un nomignolo hanno il potere incantato di restituire l'attimo fuggitivo, la persona scomparsa, non però quello di dissiparne il segreto. L'intento di Natalia non è mai stato di scrutare dentro l'anima dei suoi personaggi: lei desidera solo rappresentarli, metterli in scena. E poi, che se la cavino da soli."

E a proposito del suo lavoro di traduzione afferma: " Tradurre significa appiccicarsi e avvinghiarsi ad ogni parola e scrutarne il senso. Seguire passo passo e fedelmente la struttura e le articolazioni delle frasi. Essere come insetti su una foglia o come formiche su un sentiero. Ma intanto tenere gli occhi alzati a contemplare l'intero paesaggio, come dalla cima di una collina. Muoversi molto adagio, ma anche molto in fretta, perché in tanta lentezza è e deve essere presente anche l'impulso a divorare la strada. Essere formica e cavallo insieme. Il rischio è sempre di essere troppo cavallo o troppo formica. L'una e l'altra cosa sciupano l'opera. La lentezza non deve apparire, deve apparire la corsa del cavallo soltanto. Le parole nate così adagio non devono apparire striscianti o morte, ma fresche, viventi e impetuose. Il tradurre è dunque fatto di questa contraddizione insanabile. […]

Arrivati alla conclusione di questo bellissimo ritratto si ha, accanto alla sensazione di aver finalmente conosciuto la donna e la scrittrice, anche l'impressione di aver camminato con lei, che di strade ne ha percorse davvero tante con le sue scarpe basse, solide e sane, mocassini con la suola rialzata, alle quali non ha mai rinunciato e che le davano un incedere pesante, presente. Come importante fu la sua presenza, unica donna, tra i tanti intellettuali della storia dell'editoria, a sedere al tavolo della Einaudi assieme a Giulio, il padrone, a  Pavese, Balbo,  Levi,  Calvino, Morante, Quasimodo, Moravia. Ci si sente quasi in soggezione al pensiero che sia esistito un tempo in cui ad uno stesso tavolo stavano seduti insieme questi grandi nomi, o che in una stessa casa potessero trovarsi Olivetti, Turati, Foa  o che nello stesso Parlamento potessero trovare posto Pertini, Berlinguer e Nilde Iotti. E' un tempo lontano che rimpiangiamo pensando ai tavoli ai salotti al Parlamento di oggi. 

Si chiude il libro ringraziando il prezioso lavoro di Petrignani che ci ha affezionato a Nat.

 

 

 


3 aprile 2021

Consiglio di lettura di Aprile - Secondo - Un eremo non è un guscio di lumaca - Adriana Zarri

 

UN EREMO NON E' UN GUSCIO DI LUMACA

Autore: Adriana Zarri

Editore: Einaudi 2011

“Qualcuno dice che mi sono “ritirata” in un eremo; e io puntualmente reagisco. Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine. E lo preciso puntigliosamente per rispondere all’obiezione che concepisce questa solitudine come un tagliarsi fuori dal contesto comunitario. E invece no. L’isolamento è un tagliarsi fuori ma la solitudine è un vivere dentro” 

Adriana Zarri, teologa, scrittrice, eremita, morta nel novembre 2010.

 Di lei avevo il ricordo legato alla trasmissione “Samarcanda” di Michele Santoro; l’ho ritrovata casualmente parecchi anni dopo grazie al suo ultimo libro Un eremo non è un guscio di lumaca” (Einaudi 2011)

La bella prefazione, curata da Rossana Rossanda, narra ne “Le mie ore con Adriana” il loro rapporto fatto di amicizia e stima.

 Erba della mia erba costituisce la parte centrale del libro, già pubblicato nel 1981.                 

E altri resoconti di vita sono testi più recenti che Zarri ha recuperato tra suoi scritti mai pubblicati prima.

Il marzo delle primule è la terza ed ultima parte, composta nel 2010 una sorta di dialogo con se stessa.

L’eremo, che sia la cascina del Molinasso dove trascorre gli anni più belli della sua vita oppure Cà Sàssino dove ad accoglierla trova anemoni bianchi, è sempre un luogo della vita e dell’anima, dove studio, meditazione e lavoro sono mescolati.

 La genuinità del racconto delle sue giornate di eremita si nutre della profondità delle riflessioni. Il ritmo delle stagioni, la vita, la natura, l’esperienza del silenzio e del  vivere solitario vengono raccontati nella quotidianità di incontri, speranze, paure.                           

Ogni capitolo è un quadro di umanità e natura, scandito dai suoni e dai silenzi, dal mutare delle stagioni con le nebbie autunnali e il canto degli uccelli in primavera.
La sua è una scrittura rigorosa e poetica, intimamente ascetica.

È un libro che va letto con lentezza, lasciato e ripreso più volte per dare il tempo ai pensieri di trovare il loro percorso.

Daniela

1 aprile 2021

Consiglio di lettura Aprile - primo- Il Diario di Jane Somers - Doris Lessing


 IL DIARIO DI JANE SOMERS

Autore: Doris Lessing

Editore: Feltrinelli 2014

Traduttore: Marisa Caramella


Accogliamo con piacere un suggerimento di lettura per scoprire una grande autrice e conoscerla meglio approfondendo con altre letture la sua capacità e il suo stile elegante e raffinato. 

"Questo libro è molte cose.
È la storia di un incontro tra due donne diverse per età, cultura, ambiente sociale.
È il diario dei passi più salienti e significativi di una amicizia al femminile.
È anche un abbraccio "empatico" tra due universi: uno fatto di giovinezza, bellezza, immagine, denaro che galleggia, chiuso come in una bolla d'aria, sul vuoto; l'altro fatto di indigenza, malattia e vecchiaia che si muove nella più cruda concretezza.
Ma credo che "Il diario di Jane Somers" sia soprattutto la storia della lenta e inesorabile metamorfosi che a seguito di questo legame Intenso, avviene nell'anima della protagonista. 

Grazie Patrizia