20 ottobre 2022

79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica - settembre 2022



Film visti in decentramento da
La Biennale di Venezia al Candiani di Mestre

Tutti in lingua originale



Venerdì 2  Venezia 79

TÀR di Todd Field (USA) 158’ - drammatico - Coppa Volpi alla migliore attrice Cate Blanchett - Buono! Consigliato da vedere

Molto riflessivo, la musica c’entra, ma soprattutto il “potere personale” e le sue possibili deviazioni. Spero non venga tagliato in una versione commerciale più breve, che rischiando di tenere le cose più eclatanti, taglierebbe le parti più importanti fatte di riflessioni, ragionamenti e momenti cinematografici intensi.

Sabato 3 Venezia 79

ATHENA di Romain Gavras (Francia) 97’ - attualità/drammatico/azione - Buono!

Molto violento. Il girato, con immagini e suoni (molto presenti, assordanti) è molto dinamico e coinvolgente. Tema caldo: violenza neonazista, rivolta in quartiere arabo. Quattro diversi fratelli coinvolti. Il tutto attualissimo, girato come fosse un film di eroi d’altri tempi. Almeno secondo me.


Domenica 4 Venezia 79

ARGENTINA, 1985 di Santiago Mitre (USA/Argentina) 140’ - ricostruzione realtà/politico - Buono, da vedere!

É la ricostruzione della preparazione al processo a Videla e gli altri generali della dittatura. Il film è fatto bene. Inoltre è sempre bene ricordare.


Martedì 6 Venezia 79

LOVE LIFE di Kôfi Fukada (Giappone/Francia) 123’ - drammatico

Buono!

Una storia (triste) molto giapponese. Lutto e dolore profondo. Ambienti famigliari e sociali.


Mercoledì 7 Settimana della critica

DOGBORN di Isabella Carbonell (Svezia) 84’ - drammatico

Buono. Da vedere.

Temi attualissimi: sfruttamento sessuale ragazze e bambine. Coinvolgimenti a delinquere di disperati emigrati da ex Jugoslavia. Perbenismo e falsità della società svedese.

Fuori concorso

KÕNE TAEVAST di Kim Ki-Duk (Estonia/Lituania) 87’ - drammatico

Buono.

Sull’amore ossessivo, sulle conseguenze di una passione violenta. A metà tra l’incubo e la realtà. “Il cinema di Ki-Duk è sempre stato sospeso tra la leggerezza del sogno e la greve ferocia della realtà”.

È un’opera postuma, montata dagli amici del regista coreano come omaggio al suo lavoro, dopo la sua scomparsa nel 2020.


Giovedì 8

In libreria Heimat per la presentazione di: Pascoli di carta di Giannandrea Mancini. Kellerman editore. Un libro inchiesta sulla speculazione delle compravendite dei terreni in montagna). Interessante.

Fuori concorso


Venerdì 9

Settimana della critica

DA LISTE VIDELI OVU ZENU (HAVE YOU SEE THIS WOMAN) di Duśan Zorić e Matija Gluščević (Serbia/Croazia) 79’

Buono. Da vedere (sempre se abbiate voglia di farvi un po’ sconvolgere”)

Molto rumoroso, suono usato in modo oppressivo e violento, sia come “rumore urbano” sia in per la musica ossessiva, ma coerente con la linea espressiva del film. Anche l’uso della telecamera è molto vario e poco ortodosso.

Tre situazioni, tre diverse declinazioni dello stesso personaggio, Draginja: in una di esse, trova un cadavere che lo somiglia, in un’altra ingaggia un finto marito da mostrare alle amiche, nella terza vaga senza memoria per le strade.”

Spiazzante, sia per le trame a volte assurde, sia per come è girato (work in progress, quindi non con stile continuativo), dove il corpo è «politico nel suo essere “non conforme”, alla conquista dello schermo e di uno suo spazio nel mondo».

Orizzonti

LUXEMBURG, LUXEMBURG di Antonio Lukich (Ucraina) 106’ - drammatico Buono.

Anche qui due fratelli gemelli a confronto, uno troppo serio e prudente che fa il poliziotto, l’altro delinquente da quattro soldi, spacciatore e truffatore alla buona. Alla notizia del padre morente (che li ha abbandonati e che nei ricordi era un mafioso violento, negativi per uno, positivi per l’altro) in Lussemburgo si mettono alla sua ricerca.


Sabato 10

Settimana della critica

MALIKATES (QUEENS) di Yasmine Benkiran (Marocco) 83’ - Avventura/drammatico Buono.

Casablanca, Marocco. Un trio di donne, con la polizia alle calcagna, intraprende una lunga fuga che le porta ad attraversare le aspre terre rosse e le valli fiorite dell’Atlante per raggiungere il mare. Qualcuno lo ha subito definito un Telma e Louise in salsa marocchina. Ma a me sembra riduttivo. Non è certo un “filmone”, ma si può vedere e apprezzare nella sua specificità.

Anche se rimane tutta la drammaticità, risulta una visione più “leggera” di altri. Personali perplessità sugli effetti della scena finale. In generale il film è girato in modo semplice, diretto.


Venezia 79

KHERS NIST (GLI ORSI NON ESISTONO) di Jafar Panahi (Iran) 107’ - drammatico - Premio speciale della giuria

Buono. Da vedere.

Il regista, incarcerato in Iran per aver sostenuto la causa di un collega ingiustamente incarcerato, racconta sia storie d’amore tormentate dalla forza della superstizione e dalle dinamiche del potere (locale, nazionale, patriarcale e altro) sia la sua storia di regista costretto al confino che cerca di dirigere le scene del suo film in collegamento streaming.

Ha vinto


Domenica 11

All the Beauty and the Bloodshed di Laura Potras (USA) - Leone d’oro

Buono. Da vedere

Film documentario che esplora la vita e la carriera della fotografa statunitense Nan Goldin. Racconta della sua rocambolesca vita, del suo fare arte e documenta la sua lotta contro la famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma, ritenuta responsabile dell'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti.

Utile sia per la conoscenza del problema dell’assuefazione ai farmaci e alle speculazioni relative, sia per una riflessione sul fare arte, sulla forza espressiva e il valore di certe scelte lontane dai canoni di “bellezza” perbenismo” “convenzioni” e del valore di saper cogliere e dare voce a momenti difficili della esistenza umana.

Oreste 


Jhumpa Lairi - Traducendo Metamorfosi di Ovidio

Jhumpa Lahiri: la violenza e la bellezza in Ovidio vanno trasformate per i nuovi lettori


CLASSICO E CANCEL CULTURE. La scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, lavora a una nuova traduzione del poema: qui racconta la sua esperienza didattica a Princeton

Barbara Graziosi, PRINCETON, NEW JERSEY


Come leggere i classici è una domanda a cui mi sembra importante rispondere non solo a

livello di teoria, ma anche in pratica, considerando, per esempio, in che modo fare lezione.

Devo a Jhumpa Lahiri, la scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, una delle esperienze più belle di quest’anno: abbiamo condiviso l’insegnamento di un corso sui

grandi classici della letteratura occidentale, tra cui le Metamorfosi di Ovidio. Adesso, nel caldo estivo, possiamo prenderci un momento per riflettere su quello che, insegnando, abbiamo imparato anche noi.

Una delle questioni centrali ha riguardato il rapporto tra immaginazione letteraria ed esperienza vissuta sul corpo. In un momento in cui, negli Stati Uniti, le donne stanno perdendo il diritto all’aborto, anche in caso di stupro, ci siamo chieste quale fosse la maniera più giusta per parlare agli studenti di violenza sessuale e, specificamente, della metamorfosi limitante che, in Ovidio, sempre ne consegue: dopo un atto di violenza, infatti, il personaggio umano si trasforma in un essere inferiore – animale, albero, sasso.

Come utilizzare le problematiche di oggi per interpretare i testi antichi? E viceversa, come trovare nelle Metamorfosi una chiave di lettura per la realtà presente? Allo stesso tempo, ci è sembrato importante insistere, a lezione, sulla distanza tra letteratura e vita. A qualche mese dalla chiusura del corso, vorrei riprendere il filo della conversazione e ascoltare le tue riflessioni.

«I testi antichi sono modernissimi e le Metamorfosi in particolare, motivo per cui sto traducendo il poema di Ovidio insieme alla nostra collega Yelena Baraz. Ovidio parla dimitologia: storie che non appartengono a nessuno ma che riguardano tutti. Nel poema, meravigliosamente caotico, incontriamo tutti i temi più attuali e scottanti, con un interesse particolare per l’appartenenza, l’identità e il genere. Ovidio si interroga su ogni tipo di confine e di classificazione che ci sia: uomo-donna, animale-essere umano, parola- immagine, terra-spazio, vita-morte. Parla anche molto di disastri naturali e degli effetti del cambiamento climatico. Da lettrice e traduttrice percepisco poca distanza fra quest’opera letteraria e la realtà di oggi. Più traduco questo testo e più mi sembra cruciale trasformarlo e presentarlo a una nuova generazione. Ovidio ci fa capire, per esempio, come il silenzio tutt’ora possa seguire e occultare una violenza sessuale. La vera minaccia sta proprio nel silenzio e nella presunzione anticipata del silenzio. Le vittime, in Ovidio, sono prive di voci, sono estraniate e ferite, non si riconoscono più. Trovo che l’empatia e l’intuizione di Ovidio verso i personaggi femminili siano straordinarie. Quanto al diritto all’aborto: qual è la differenza, mi chiedo, fra gli dèi che governano tutto, nell’universo ovidiano, e la Corte Suprema degli Stati Uniti? Ci sentiamo, giustamente, impotenti, frustrati, anche ribelli. Ma alla fine dobbiamo accettare una realtà amara: il mondo non è sotto il nostro controllo. Questa è una lezione ovidiana, tra l’altro: nelle Metamorfosi, come dicevi tu, si vede continuamente l’effetto degradante del potere».


Ricordo che una studentessa, parlando di stupro, ha proposto un paragone tra l’effetto della bellezza femminile sull’uomo e quello della poesia di Ovidio sul lettore: «Le “Metamorfosi” sono così belle che a volte mi forzano a fare dei pensieri che non vorrei nemmeno concepire: per esempio mi immedesimo con Apollo mentre Dafne scappa disperata. Si parla sempre della violenza degli uomini sulle donne, ma leggendo Ovidio ho cominciato a pensare all’effetto che la bellezza può avere su chi guarda o anche solo su chi legge –un effetto che può risultare nocivo e provocare ostilità». Ho fatto del mio meglio per rispondere in quell’occasione: mi chiedo, Jhumpa, che cosa avresti detto tu sulla bellezza e i suoi effetti...

La bellezza in Ovidio è, in primo piano, la bellezza della sua poesia, la bellezza della forma del testo stesso. Troviamo la parola forma nel primo verso (In nova fert animus mutatas dicere formas / corpora...) e poi compare dappertutto. Forma, come sai bene, è una parola estremamente ricca in latino. Vuol dire tante cose, fra cui aspetto, immagine, costituzione, bellezza, figura. Tornando a Dafne: lei supplica il padre: ‘fer, pater’ inquit, ‘opem, si flumina numen habetis; / qua nimium placui, mutando perde figuram.’ (“Aiutami, padre”, dice. “Se voi fiumi avete un potere divino, sciogli, mutandola, questa mia forma, per cui troppo piacqui”, 1, 546-7). Io leggo figuram in questo passo come una versione di forma. In Ovidio le parole sono fluide, cangianti, spesso i termini scivolano l’uno dentro un altro. Ossia è la bellezza, cioè la figura (o forma) di Dafne che va mutata. Interessante che questi versi cruciali su Dafne richiamino l’incipit del poema, anche con lo stesso verbo mutare. Allora, cosa ci sta dicendo Ovidio? Credo che, per lui, ogni cosa al mondo vada cambiata e che cambierà. La bellezza fisica è per definizione qualcosa di caduco, effimero. La bellezza della poesia permane, ma va anch’essa trasformata (e tradotta) per nuovi lettori. Alla studentessa direi che è importante immedesimarsi ogni tanto anche nei punti di vista più antipatici e violenti. Solo la letteratura ci permette questa esperienza ed è necessaria per la nostra umanità, soprattutto in questo momento in cui quasi tutti scalpitano per giudicare, criticare e cancellare gli altri. Sulla bellezza poi, dobbiamo distinguere fra bellezza fisica e superficiale, che poi per forza scompare, e bellezza sfolgorante delle parole plasmate dal poeta, che ci parlano e ci scuotono ancora.


Parlando di cambiamento, c’è sempre un momento, nel corso di una metamorfosi ovidiana, in cui il soggetto non è più quello che era, eppure non ha ancora preso nuova forma. È un momento che, lo so, ti interessa anche dal punto di vista linguistico. Ho imparato molto, ascoltandoti e leggendo il testo di Ovidio, sia in lingua originale che in traduzione, insieme agli studenti: per esempio, siamo andati a cercare il passo in cui Atteone non è più uomo ma nemmeno completamente cervo. Mi chiedo, tra tutti gli episodi di trasformazione e identità sospesa in Ovidio, quali siano i tuoi preferiti. Mi sembra, poi, che le «Metamorfosi» possano riflettere la tua esperienza di scrittrice, sospesa come ti trovi tra lingue e culture diverse.

Ogni trasformazione in Ovidio mi commuove. Rispondo sempre allo smarrimento che accompagna il mutamento, lo stato sospeso e silenzioso, la mancanza di un solo punto di riferimento: tutto ciò spiega la mia condizione personale e creativa e la mia nuova attività di traduttrice. Secondo me il capolavoro di Ovidio è un omaggio continuo, forse inconscio, alla traduzione, all’idea di esistere fra due realtà, di scavalcare i confini, di guardare allo stesso tempo indietro e avanti. A parte Dafne, con cui mi identifico, amo particolarmente, nel terzo libro, la trasformazione di Eco in sola voce e, nel quinto libro, la trasformazione di Aretusa in acqua.


Per molti anni hai diretto, a Princeton, il programma di scrittura creativa. Da quello che mi racconti e dai corsi che hai proposto in quel contesto, imparo, che per te è importante leggere in maniera creativa, prima ancora di cominciare a scrivere. Forse allora bisognerebbe pensare alla figura dell’autore non solo in termini di originalità ma anche di metamofosi – tra lettura e scrittura, tra opera antica e libro futuro, tra ascolto e parola. Che cosa dici agli studenti, quando si presentano da te, in classe, col desiderio di imparare la creatività?


Ovidio è un po’ fissato con le origini. Il primo libro si conclude con la parola ortus: il nascere, il principio, il sorgere. Parla di Fetonte, un ragazzo che va in cerca del padre per capire chi sia. Finisce in tragedia. In generale, nelle Metamorfosi, c’è un’attenzione particolare alle origini dei personaggi, alla provenienza, solo che poi i personaggi cambiano, radicalmente, e le origini hanno poco a che fare con le loro nuova identità. Ovidio allora ridefinisce la parola «originale», anche perché la sua opera è poi una rilettura

e una ricostituzione della mitologia, della geografia e dello spirito della Grecia antica. Morale: anche le origini sono instabili, fluide, e vanno interrogate, riconsiderate. Nel mio piccolo, ora che traduco me stessa dall’italiano all’inglese, non so più cosa significhi un testo originale. Agli studenti, in ogni caso, dico sempre le stesse cose: leggete, imparate nuove lingue, apprezzate e rispettate la forza della letteratura, amatela.


Dai nostri inviati al Festivaletteratura

 


Testimonianze dai giorni del Festival a Mantova

Usama al Shahmani scrittore di lingua tedesca e di origine irachena rifugiatosi in Svizzera. 

Cresciuto in Iraq laureato in lingua e letteratura araba moderna. Ha pubblicato tre libri prima di fuggire in Svizzera per critiche aspre al regime. Due libri di cui ha parlato a Mantova:  "In terra straniera gli alberi parlano arabo",  Marcos y Marcos 2021, narrazione tra due culture in cui gli alberi della terra d'esilio sembrano parlare una lingua che salva e ricongiunge alle radici; e "la piuma cadendo impara a volare", Marcos y Marcos 2022

Diamela Eltit scrittrice cilena: magnifico l'incontro, culturalmente impegnativo e tragico per l'animo soprattutto per il ricordo degli anni di Pinochet. Molte notizie si sanno ma non si arriva ad immaginare l'esistenza di persone che raccontassero la loro morte da vivi. Oppositori al regime fucilati ma riusciti a sopravvivere e che parlano di se stessi come fossero morti. Lella Costa ha letto qualche pagina del libro dell'autrice  "Errante erratica - pensare i limite tra letteratura, arte e politica. 

Christoph Ransmayr, scrittore austriaco  autore di racconti etnografici molto interessanti "l'ignoranza, il mutismo, il bagaglio leggero, la curiosità o almeno la volontà non solo di giudicare il mondo ma di viverlo, di vagare per esso, è tutto ciò che ho da dire: circumnavigare, arrampicarsi, nuotare, se necessario soffrire, fanno probabilmente parte dei prerequisiti per la narrazione". 

Aleksandar Hemon scrittore bosniaco che si scoprì emigrato per caso mentre era a Chicago per uno scambio giornalistico, arricchente la scoperta di un autore che scrive in prosa in lingua inglese e in bosniaco le poesie, ha presentato un libro doppio, da una parte "I miei genitori" dall'altra "Tutto ciò non mi appartiene"

Antonio Castronuovo, Hans Tuzzi, Afro Somenzari hanno parlato di bibliopatologie, bibliofili e bibliomani;  incontro esilarante con tre uomini di cultura scanzonati e molto interessanti

 Andres Neuman,  autore di Anatomia sensibile, originario di Buenos Aires ma spagnolo di adozione, ci ha parlato di semantica e parti del corpo umano. Brillante e spigliato accompagnato da una  Lella Costa sempre bravissima. 


Tullio e Rita 


19 ottobre 2022

Consiglio di lettura - estiva


Questa estate ho letto il "Don Chisciotte", un'opera che colpisce per gli innumerevoli piani di lettura e interpretazioni. Da qui partono alcune piccole, modeste riflessioni su questo enorme materiale che Cervantes ci ha lasciato come eredità collettiva. Riflessioni sparse ispirate dal "Don Chisciotte della Mancia" Miguel de Cervantes (1547-1616) ormai avanti negli anni, forse in prigione, progetta un'opera che ha come protagonista un cinquantenne, un piccolo proprietario terriero del suo tempo che dopo letture accanite di romanzi cavallereschi, molti dei quali senza testa né coda, crede di essere un Cavaliere errante. Alonso Quijano soprannominato "il buono" diventato Don Chisciotte decide di darsi all'avventura andando in giro per la Spagna a radrizzar torti, mosso dall'amore platonico per una contadinotta del suo paese, vista 4 volte in tutta la sua oziosa e miseranda vita. Nonostante i continui rovesci della sua tristissima esistenza, Cervantes riesce a farci ridere. Seguiamo senza batter ciglio le vicende comico-picaresche di Don Chisciotte considerandolo di primo acchito un folle qualunque. Lentamente, pero', addentrandoci nel romanzo, il nostro giudizio cambia. Ciò che ci colpisce è la sua resilienza ai fatti della vita, la sua capacità di rialzarsi dopo ogni caduta, armato di una fede e una serietà di intenti eroica, impareggiabile. E' sicuramente un folle, ma un folle dai pensieri lievi, limpidi, cristallini. Parla di ingiustizie da sanare, di difesa dei deboli, di libertà, di giustizia divina e di giustizia degli uomini, di compassione, di misericordia... Cosi' egli risponde al curato, uno dei tanti che lo vogliono far rinsavire: "...Cosi' voi non credete ai romanzi cavallereschi...da quando sono un Cavaliere errante mi sento più coraggioso, misurato, generoso, cortese, liberale, garbato, audace, tollerante, paziente, resistente alla fatica... È come se il nostro antieroe sfuggito al controllo e all'ironia del suo autore difendesse le sue tesi con rigore e convinzione: quando un'opera letteraria incendia i cuori e da' consolazione alle vite degli uomini, muovendoli all'azione allora e' da considerarsi "vera". Don Chisciotte quindi difende i romanzi cavallereschi in virtù di quella metamorfosi interiore che essi hanno prodotto in lui, una metamorfosi che prende corpo anche nel lettore stesso del romanzo di Cervantes che come per magia, sposa molte delle tesi del folle e soffre insieme a lui delle continue busse e burle che lo incalzano per tutta l'opera. Niente è però casuale. "Il Don Chisciotte della Mancia" (1^parte 1605; 2^parte 1615) è ancora figlio di quel pensiero rinascimentale che utilizza come metodo di conoscenza del mondo "la similitudine". Il macrocosmo e il microcosmo, il cielo e la terra, gli Uomini e gli animali, le piante sono un tuttuno che può essere conosciuto trovandone le analogie, i punti in comune, le corrispondenze. Ecco che l'uomo rimanda alla terra: la carne è la sua zolla, le ossa sono rocce, le vene sono come grandi fiumi; Il suo volto rimanda al cielo: gli occhi sono stelle che irradiano luce come astri nell'oscurità... Ed è così che si muove anacronisticamente Don Chisciotte, sforzandosi di trovare similitudini tra i romanzi cavallereschi letti tanto avidamente e la realtà prosaica che lo circonda. Ma ahimè...i mulini a vento non sono giganti, pecore e montoni non sono eserciti... Il nuovo pensiero seicentesco che avanza si fonda non più sull'essere "come" , bensi' sulla differenza, sulla diversità, sullo studio identitario dei segni. Il mondo non è più un tuttuno, ma tutto viene catalogato dalle diverse discipline secondo ordine e misura. Nasce la tassonomia e con essa le scienze naturali. Questa grande Verità che si frammenta in tante piccole verità relative è cosa difficile da accettare per chiunque, non solo per Don Chisciotte. Insomma... il nostro antieroe, una mattina esce di casa e non riconosce più il suo mondo, ciononostante si sforza con coraggio, fino alla morte, di trovare corrispondenze con una "idea di mondo" che sopravvive solo nel ricordo dei suoi libri tanto amati. Ma oramai trovare le antiche similitudini è un compito lasciato solo al pazzo o al poeta... L'incredibile modernità che il romanzo conserva nel suo scorrere via nei secoli ci rimanda al destino che noi, suoi figli condividiamo con il nostro Hidalgo di fronte a una società che oggi come allora ha perso la bussola e che epidemia, guerra, crisi energetica e ambientale ci hanno reso irriconoscibile e inquietante. Ed e' cosi' che Alonso Quijano il Buono alias Don Chisciotte come una voce "numinosa" dal profondo, inneggia a pensieri semplici e lineari, fedeli a degli ideali. Ci invita a resistere, a difendere la nostra unicità e ad agire perché sanare ingiustizie, difendere i più deboli, parlare di diritti e libertà di fronte a un mondo che cambia non è più puro idealismo, ma mai come oggi, necessità.

 Patrizia