«Muoversi, formicolare, stare negli Euganei e glissare di là in tutte le direzioni del cosmo, cogliere i possibili della tortuosità di una o dieci stradine su dieci diversi orizzonti e assaggiare la sana festosità e la pacatezza dei tanti olivi e dei tanti olii sufficienti ad alimentare per sempre lucerne interiori e fluidità di fantasie. E presto ci si trova invischiati dolcemente e acremente in successivi paradisi, accordati col corpo geologico e coi 30-35 milioni di anni che gli inarcano le spalle, col gregge indisciplinato dei colli-monti che finiscono per modularsi in labirinto» (da: Luoghi e Paesaggi, 1997)
6 Maggio 2017
Passeggiata sui luoghi di Andrea Zanzotto (Itinerario 4)
Letture da: Luoghi e Paesaggi di Andrea Zanzotto (2013)
Notificazione di presenza sui Colli Euganei
Se la fede, la calma d’uno sguardo
come un nimbo, se spazi di serene
ore domando, mentre qui m’attardo
sul crinale che i passi miei sostiene,
se deprecando vado le catene
e il sortilegio annoso e il filtro e il dardo
onde per entro le più occulte vene
in opposti tormenti agghiaccio et ardo,
i vostri intimi fuochi e l’acque folli
di fervori e di geli avviso, o colli
in sì gran parte specchi a me conformi.
Ah, domata qual voi l’agra natura,
pari alla vostra il ciel mi dia ventura
e in armonie pur io possa compormi.
Da Luoghi e paesaggi (1997)
«Un giorno di grigia primavera ci si aggirava in auto lentamente entro la ressa delle figure tutte, pur se vagamente coniche, tondeggianti, quando ad una svolta ci si pararono davanti tre coni geometricamente perfetti, protesi, impeccabilmente appuntiti, di un colore lavico-cinereo da lasciarci di sale. Apparivano, "erano", quei coni, sicuri di una loro nobiltà garantita dai milioni di anni, noncuranti eppure alquanto subdoli, da figli dell'impossibile. "Ecco la Trimurti Euganea!": In Marco e in me si era annunciata simultaneamente questa folgorata, secca sorgente del divino, presente da sempre eppure solo in quel momento manifesta.
Oreste Sabadin alla lettura |
Rimasti a lungo in contemplazione e vorrei dire in preghiera, decidemmo di ritornare con più calma e prestissimo sul luogo. Buttai giù uno schizzo approssimativo che rincorreva invano l'esattezza ripida e severa, la superbia sottile e capricciosa di quelle entità. Ritornammo tante volte e non le rincontrammo più. Pareva che... ma no... si affacciavano somiglianze parziali, graffi di delusioni. Non restava che sperare in un altro tic degli dei. In realtà questi sono fenomeni che si formano continuamente in qualunque sito, specie tra i monti: vi interferiscono di continuo ore, luci, stagioni, minuzie che ci fanno desolatamente sentire come nulla vi sia di stabile, come tutto cambi anche se immoto, perché tutto è proiettato all'irraggiungibile in sé. E così avviene a maggior ragione per l'animo umano, i volti umani anche i più amati; tutti sono i soliti uno-nessuno-centomila, tutto era e sarà paesaggi diffratti e ricomposti a colpi d'ala o soffi più o meno ludici, più o meno carezzevoli o maligni. E Yves Bonnefoy torna a dirci che "i luoghi, come gli dei, sono i nostri sogni"».
Pianoro del Mottolone |
Francesco Petrarca
da: Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)
Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sí aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.
Giardino di casa Petrarca |
Andrea Zanzotto
Da: Dietro il paesaggio
Nel mio paese
Leggeri ormai sono i sogni,
da tutti amato
con essi io sto nel mio paese,
mi sento goloso di zucchero;
al di là della piazza e della salvia rossa
si ripara la pioggia
si sciolgono i rumori
ed il ridevole cordoglio
per cui temesti con tanta fantasia
questo errore del giorno
Del mio ritorno scintillano i vetri
ed i pomi di casa mia,
le colline sono per prime
al traguardo madido dei cieli,
tutta l'acqua d'oro è nel secchio
tutta la sabbia nel cortile
e fanno rime con le colline
Di porta in porta si grida all'amore
nella dolce devastazione
e il sole limpido sta chino
su un'altra pagina del vento.
Marotei, de matina bonora
Grune de fen
che i par bar
color de fer
qua e là
pa’ i pra
Il Borgo di Arquà Petrarca |
stech e fii
de erbete
ingattiade strigade
deventade storte
deventade morte
deventade sgonfie
deventade stonfe
deventade deventade deventade
Da Idioma
Onde éla la Urora e i buzholà
e le caròbole e i sòrboi che la ghe vendéa
ai cèi par diese schei: che marcà
al festa, drio vespro, che i ghe féa!
Su'l fornelet sora'l balcon podà
intant la so zheneta la bojèa:
ma i tosatea un dì drento inte'l brodo
un zochet de morer i ghe 'vea mes
e ela col piron catando dur co l inpiréa:
"A che temp, la diséa, che son tiradi ades"
Foto di Rosa Anna Caprioli