30 novembre 2022

Gruppo di lettura _mese di Novembre 2022: Pensa il risveglio di Alessandro Cinquegrani

 

Titolo: Pensa il risveglio

Autore: Alessandro Cinquegrani

Editore: Terrarossa Edizioni

Anno 2021

C'è un desiderio che accomuna ogni lettore ed è avere seduto davanti a sé l'autore del libro che ha letto, l'unico ad avere la certezza del contenuto e l'unico che può sciogliere dubbi e interpretazioni soggettive. Quando questo accade, il libro si prepara ad avere un destino diverso, non sarà condannato ad un posto qualsiasi nell'elenco dei libri letti ma avrà un ruolo e uno spazio più vivo, forse, perché tra quelle pagine sono stati proiettati il volto, le mani e gli occhi di chi l'ha creato. Quindi prima di addentrarci nell'analisi del testo letto in questo mese di novembre, e suggerito dal nostro conduttore Oreste, un ringraziamento di cuore va ad Alessandro Cinquegrani che ci ha regalato la sua presenza e con il quale si sono intrecciate considerazioni, riflessioni, valutazioni e confessioni sull'opera e sul segno che questa ha lasciato nelle nostre menti. 

Riuniti nell'ambiente suggestivo della Casa con l'Arco e allietati dallo scoppiettio del fuoco siamo partiti dal disorientamento provocato dalla lettura di un testo che si presenta fin da subito complesso e articolato in piani e tempi diversi. Alla sensazione di perdersi, di smarrirsi, persino di annegare di qualcuno si è affiancata l'adesione di altri che sono riusciti ad entrare nel gioco, nelle spire della storia e seguirla passo passo fino ad un approdo chiaro e sereno, lì dove tutto si svela. L'autore stesso ha confermato che questa sperimentazione era nelle intenzioni del progetto e siamo stati soddisfatti di averne preso parte.

Una volta trovata la chiave di comprensione anche per il primo gruppo di lettori l'esperienza è stata molto coinvolgente e nel corso della discussione quel risveglio si è fatto chiaro ed evidente. 

Sono molti i temi trattati in quest'opera che si sviluppa su tre piani temporali: un passato storico, un presente narrativo e  futuro distopico che dà l'avvio al romanzo. 


Nel prologo si avverte la passione per la cinematografia, lo stile è straniante e proietta il lettore in un mondo altro per poi abbandonarlo e salvarlo subito dopo in una storia parallela in cui si fa la conoscenza di Lorenzo e Alberto due amici le cui storie dapprima affiancate e accomunate dalla lavorazione di un film sulla fine del nazismo e sui principi che lo reggevano, subiranno una cesura con la sparizione di Lorenzo. Si segue così la vita del narratore (si scoprirà solo verso la fine il suo nome: Alberto) che all'inizio si mette alla ricerca dell'amico e poi si appropria della sua vita, del suo lavoro, della sua casa e persino di sua moglie vivendo una vita parallela che si scoprirà solo verso la fine non è quella reale. 

L'oscillamento continuo della storia, se all'inizio può essere disturbante, mano a mano che si legge agisce sull'abitudine e ci si lascia velocemente trasportare in un ritmo che presto si scopre equilibrato nelle simmetrie: Alberto e Lorenzo, l'architetto Albert Speer e Joseph Mengele, il mondo di sotto e il mondo di sopra. Un dualismo che muove la prima domanda e che è anche forse il nucleo del romanzo: si può declinare il male? O in quanto tale va condannato senza riserve? I due personaggi Mengele e Speer, colpevoli entrambi delle stesse efferatezze, vivono la loro colpevolezza in modi differenti: il primo segue una linea coerente e sparisce con la sua valigia contenente la sua identità, il secondo resta presente ad un compromesso che mescola verità e bugia e che lo assolverà dopo qualche anno di carcere. Anche i protagonisti del romanzo sono antitetici rispetto alla coerenza del lavoro che stanno svolgendo. Lorenzo sceglie di sparire per restare fedele alle sue idee, Alberto accetta il compromesso della vita che gli si svolge davanti. Scomparire è un verbo predominante in questo testo per stessa ammissione dell'autore che ritrova questo istinto anche nella sua indole personale. Ci si interroga su quale sia lo sblocco a questa condizione, quando un uomo  deve fare i conti con lo spazio e il tempo che occupa in questa vita. Ed è il messaggio finale del libro che ci dà la risposta: è il risveglio alla vita, e con essa al senso di responsabilità, la riemersione dal mondo di sotto, la spinta che ci fa lasciare il segno nel mondo, e che si realizza pienamente con il miracolo della nascita, l'evento che cambia identità ad un uomo facendolo diventare padre e in qualche modo radicandolo.


Si apre una parentesi, sulla scelta delle donne 
del romanzo di sottoporsi alla villocentesi e sulle reazioni di Alberto nei due momenti della storia, la prima aggressiva e la seconda accondiscendente e comprensiva. Può essere intesa anche questa una forma di selezione eugenetica,  la stessa che si ritrova nel futuro dispotico, e che ci angoscia così tanto? è paragonabile? ci si chiede, e la risposta lascia molti dubbi.  

Nel prosieguo della discussione si fa sempre più chiara l'architettura del libro tanto che riusciamo a muoverci tra i mondi in modo più agevole, l'architettura è molto presente in questa opera, tre sono i protagonisti che si occupano di questa disciplina così affascinante e così ricca di sfumature, la passione per questa arte si ritrova in pagine dalle descrizioni molto belle e quasi poetiche sul valore del tempo e sulla sua accettazione dei segni visibili; ricorre le parola crepa molte volte e diverse sono le occasioni di "vedere"  rovine, usura, consunzione. 


E' stato molto interessante l'uso della lingua e la diversità degli stili utilizzati, hanno aiutato lo trasmigramento da un piano all'altro, descrizioni accurate e particolari, pagine raffinate, dettagli introspettivi, immagini più crude e calate nel reale, passaggi dalla prima alla terza persona, una sperimentazione linguistica che si è rivelata uno strumento all'interno del testo per la comprensione finale di un libro la cui complessità è un grande valore. La stessa complessità ha invitato ad una questione a margine della discussione che riguarda lo scenario attuale della letteratura, approfittando anche del  ruolo di docente universitario del nostro autore: è ancora possibile una scrittura "leggera", la leggerezza di Calvino, per intenderci, quella capace di ironia e di malinconico abbandono o i tempi moderni e la ricerca editoriale attuale è proiettata in altre dimensioni? La tendenza sembra privilegiare la scrittura veloce e accattivante senza approfondimenti sostanziali. Ma il nostro gruppo si sa ama le controtendenze e qualche nome (Bolano, Sebald)  è stato già fatto e sicuramente ci porterà ad altre corpose discussioni.

E visto che ci contraddistingue anche la capacità di analisi complessiva del libro che leggiamo ringraziamo la nostra libraia Nadia per l'esame dell'oggetto libro che fa un plauso a Terrarossa Edizioni per la scelta della carta, del formato del libro e per le scelte coraggiose sostenute con coerenza che producono piccoli capolavori come questo.

Le immagini contenute sono opera del lavoro prezioso e creativo di Oreste Sabadin #disegnaresuilibri

20 ottobre 2022

79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica - settembre 2022



Film visti in decentramento da
La Biennale di Venezia al Candiani di Mestre

Tutti in lingua originale



Venerdì 2  Venezia 79

TÀR di Todd Field (USA) 158’ - drammatico - Coppa Volpi alla migliore attrice Cate Blanchett - Buono! Consigliato da vedere

Molto riflessivo, la musica c’entra, ma soprattutto il “potere personale” e le sue possibili deviazioni. Spero non venga tagliato in una versione commerciale più breve, che rischiando di tenere le cose più eclatanti, taglierebbe le parti più importanti fatte di riflessioni, ragionamenti e momenti cinematografici intensi.

Sabato 3 Venezia 79

ATHENA di Romain Gavras (Francia) 97’ - attualità/drammatico/azione - Buono!

Molto violento. Il girato, con immagini e suoni (molto presenti, assordanti) è molto dinamico e coinvolgente. Tema caldo: violenza neonazista, rivolta in quartiere arabo. Quattro diversi fratelli coinvolti. Il tutto attualissimo, girato come fosse un film di eroi d’altri tempi. Almeno secondo me.


Domenica 4 Venezia 79

ARGENTINA, 1985 di Santiago Mitre (USA/Argentina) 140’ - ricostruzione realtà/politico - Buono, da vedere!

É la ricostruzione della preparazione al processo a Videla e gli altri generali della dittatura. Il film è fatto bene. Inoltre è sempre bene ricordare.


Martedì 6 Venezia 79

LOVE LIFE di Kôfi Fukada (Giappone/Francia) 123’ - drammatico

Buono!

Una storia (triste) molto giapponese. Lutto e dolore profondo. Ambienti famigliari e sociali.


Mercoledì 7 Settimana della critica

DOGBORN di Isabella Carbonell (Svezia) 84’ - drammatico

Buono. Da vedere.

Temi attualissimi: sfruttamento sessuale ragazze e bambine. Coinvolgimenti a delinquere di disperati emigrati da ex Jugoslavia. Perbenismo e falsità della società svedese.

Fuori concorso

KÕNE TAEVAST di Kim Ki-Duk (Estonia/Lituania) 87’ - drammatico

Buono.

Sull’amore ossessivo, sulle conseguenze di una passione violenta. A metà tra l’incubo e la realtà. “Il cinema di Ki-Duk è sempre stato sospeso tra la leggerezza del sogno e la greve ferocia della realtà”.

È un’opera postuma, montata dagli amici del regista coreano come omaggio al suo lavoro, dopo la sua scomparsa nel 2020.


Giovedì 8

In libreria Heimat per la presentazione di: Pascoli di carta di Giannandrea Mancini. Kellerman editore. Un libro inchiesta sulla speculazione delle compravendite dei terreni in montagna). Interessante.

Fuori concorso


Venerdì 9

Settimana della critica

DA LISTE VIDELI OVU ZENU (HAVE YOU SEE THIS WOMAN) di Duśan Zorić e Matija Gluščević (Serbia/Croazia) 79’

Buono. Da vedere (sempre se abbiate voglia di farvi un po’ sconvolgere”)

Molto rumoroso, suono usato in modo oppressivo e violento, sia come “rumore urbano” sia in per la musica ossessiva, ma coerente con la linea espressiva del film. Anche l’uso della telecamera è molto vario e poco ortodosso.

Tre situazioni, tre diverse declinazioni dello stesso personaggio, Draginja: in una di esse, trova un cadavere che lo somiglia, in un’altra ingaggia un finto marito da mostrare alle amiche, nella terza vaga senza memoria per le strade.”

Spiazzante, sia per le trame a volte assurde, sia per come è girato (work in progress, quindi non con stile continuativo), dove il corpo è «politico nel suo essere “non conforme”, alla conquista dello schermo e di uno suo spazio nel mondo».

Orizzonti

LUXEMBURG, LUXEMBURG di Antonio Lukich (Ucraina) 106’ - drammatico Buono.

Anche qui due fratelli gemelli a confronto, uno troppo serio e prudente che fa il poliziotto, l’altro delinquente da quattro soldi, spacciatore e truffatore alla buona. Alla notizia del padre morente (che li ha abbandonati e che nei ricordi era un mafioso violento, negativi per uno, positivi per l’altro) in Lussemburgo si mettono alla sua ricerca.


Sabato 10

Settimana della critica

MALIKATES (QUEENS) di Yasmine Benkiran (Marocco) 83’ - Avventura/drammatico Buono.

Casablanca, Marocco. Un trio di donne, con la polizia alle calcagna, intraprende una lunga fuga che le porta ad attraversare le aspre terre rosse e le valli fiorite dell’Atlante per raggiungere il mare. Qualcuno lo ha subito definito un Telma e Louise in salsa marocchina. Ma a me sembra riduttivo. Non è certo un “filmone”, ma si può vedere e apprezzare nella sua specificità.

Anche se rimane tutta la drammaticità, risulta una visione più “leggera” di altri. Personali perplessità sugli effetti della scena finale. In generale il film è girato in modo semplice, diretto.


Venezia 79

KHERS NIST (GLI ORSI NON ESISTONO) di Jafar Panahi (Iran) 107’ - drammatico - Premio speciale della giuria

Buono. Da vedere.

Il regista, incarcerato in Iran per aver sostenuto la causa di un collega ingiustamente incarcerato, racconta sia storie d’amore tormentate dalla forza della superstizione e dalle dinamiche del potere (locale, nazionale, patriarcale e altro) sia la sua storia di regista costretto al confino che cerca di dirigere le scene del suo film in collegamento streaming.

Ha vinto


Domenica 11

All the Beauty and the Bloodshed di Laura Potras (USA) - Leone d’oro

Buono. Da vedere

Film documentario che esplora la vita e la carriera della fotografa statunitense Nan Goldin. Racconta della sua rocambolesca vita, del suo fare arte e documenta la sua lotta contro la famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma, ritenuta responsabile dell'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti.

Utile sia per la conoscenza del problema dell’assuefazione ai farmaci e alle speculazioni relative, sia per una riflessione sul fare arte, sulla forza espressiva e il valore di certe scelte lontane dai canoni di “bellezza” perbenismo” “convenzioni” e del valore di saper cogliere e dare voce a momenti difficili della esistenza umana.

Oreste 


Jhumpa Lairi - Traducendo Metamorfosi di Ovidio

Jhumpa Lahiri: la violenza e la bellezza in Ovidio vanno trasformate per i nuovi lettori


CLASSICO E CANCEL CULTURE. La scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, lavora a una nuova traduzione del poema: qui racconta la sua esperienza didattica a Princeton

Barbara Graziosi, PRINCETON, NEW JERSEY


Come leggere i classici è una domanda a cui mi sembra importante rispondere non solo a

livello di teoria, ma anche in pratica, considerando, per esempio, in che modo fare lezione.

Devo a Jhumpa Lahiri, la scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, una delle esperienze più belle di quest’anno: abbiamo condiviso l’insegnamento di un corso sui

grandi classici della letteratura occidentale, tra cui le Metamorfosi di Ovidio. Adesso, nel caldo estivo, possiamo prenderci un momento per riflettere su quello che, insegnando, abbiamo imparato anche noi.

Una delle questioni centrali ha riguardato il rapporto tra immaginazione letteraria ed esperienza vissuta sul corpo. In un momento in cui, negli Stati Uniti, le donne stanno perdendo il diritto all’aborto, anche in caso di stupro, ci siamo chieste quale fosse la maniera più giusta per parlare agli studenti di violenza sessuale e, specificamente, della metamorfosi limitante che, in Ovidio, sempre ne consegue: dopo un atto di violenza, infatti, il personaggio umano si trasforma in un essere inferiore – animale, albero, sasso.

Come utilizzare le problematiche di oggi per interpretare i testi antichi? E viceversa, come trovare nelle Metamorfosi una chiave di lettura per la realtà presente? Allo stesso tempo, ci è sembrato importante insistere, a lezione, sulla distanza tra letteratura e vita. A qualche mese dalla chiusura del corso, vorrei riprendere il filo della conversazione e ascoltare le tue riflessioni.

«I testi antichi sono modernissimi e le Metamorfosi in particolare, motivo per cui sto traducendo il poema di Ovidio insieme alla nostra collega Yelena Baraz. Ovidio parla dimitologia: storie che non appartengono a nessuno ma che riguardano tutti. Nel poema, meravigliosamente caotico, incontriamo tutti i temi più attuali e scottanti, con un interesse particolare per l’appartenenza, l’identità e il genere. Ovidio si interroga su ogni tipo di confine e di classificazione che ci sia: uomo-donna, animale-essere umano, parola- immagine, terra-spazio, vita-morte. Parla anche molto di disastri naturali e degli effetti del cambiamento climatico. Da lettrice e traduttrice percepisco poca distanza fra quest’opera letteraria e la realtà di oggi. Più traduco questo testo e più mi sembra cruciale trasformarlo e presentarlo a una nuova generazione. Ovidio ci fa capire, per esempio, come il silenzio tutt’ora possa seguire e occultare una violenza sessuale. La vera minaccia sta proprio nel silenzio e nella presunzione anticipata del silenzio. Le vittime, in Ovidio, sono prive di voci, sono estraniate e ferite, non si riconoscono più. Trovo che l’empatia e l’intuizione di Ovidio verso i personaggi femminili siano straordinarie. Quanto al diritto all’aborto: qual è la differenza, mi chiedo, fra gli dèi che governano tutto, nell’universo ovidiano, e la Corte Suprema degli Stati Uniti? Ci sentiamo, giustamente, impotenti, frustrati, anche ribelli. Ma alla fine dobbiamo accettare una realtà amara: il mondo non è sotto il nostro controllo. Questa è una lezione ovidiana, tra l’altro: nelle Metamorfosi, come dicevi tu, si vede continuamente l’effetto degradante del potere».


Ricordo che una studentessa, parlando di stupro, ha proposto un paragone tra l’effetto della bellezza femminile sull’uomo e quello della poesia di Ovidio sul lettore: «Le “Metamorfosi” sono così belle che a volte mi forzano a fare dei pensieri che non vorrei nemmeno concepire: per esempio mi immedesimo con Apollo mentre Dafne scappa disperata. Si parla sempre della violenza degli uomini sulle donne, ma leggendo Ovidio ho cominciato a pensare all’effetto che la bellezza può avere su chi guarda o anche solo su chi legge –un effetto che può risultare nocivo e provocare ostilità». Ho fatto del mio meglio per rispondere in quell’occasione: mi chiedo, Jhumpa, che cosa avresti detto tu sulla bellezza e i suoi effetti...

La bellezza in Ovidio è, in primo piano, la bellezza della sua poesia, la bellezza della forma del testo stesso. Troviamo la parola forma nel primo verso (In nova fert animus mutatas dicere formas / corpora...) e poi compare dappertutto. Forma, come sai bene, è una parola estremamente ricca in latino. Vuol dire tante cose, fra cui aspetto, immagine, costituzione, bellezza, figura. Tornando a Dafne: lei supplica il padre: ‘fer, pater’ inquit, ‘opem, si flumina numen habetis; / qua nimium placui, mutando perde figuram.’ (“Aiutami, padre”, dice. “Se voi fiumi avete un potere divino, sciogli, mutandola, questa mia forma, per cui troppo piacqui”, 1, 546-7). Io leggo figuram in questo passo come una versione di forma. In Ovidio le parole sono fluide, cangianti, spesso i termini scivolano l’uno dentro un altro. Ossia è la bellezza, cioè la figura (o forma) di Dafne che va mutata. Interessante che questi versi cruciali su Dafne richiamino l’incipit del poema, anche con lo stesso verbo mutare. Allora, cosa ci sta dicendo Ovidio? Credo che, per lui, ogni cosa al mondo vada cambiata e che cambierà. La bellezza fisica è per definizione qualcosa di caduco, effimero. La bellezza della poesia permane, ma va anch’essa trasformata (e tradotta) per nuovi lettori. Alla studentessa direi che è importante immedesimarsi ogni tanto anche nei punti di vista più antipatici e violenti. Solo la letteratura ci permette questa esperienza ed è necessaria per la nostra umanità, soprattutto in questo momento in cui quasi tutti scalpitano per giudicare, criticare e cancellare gli altri. Sulla bellezza poi, dobbiamo distinguere fra bellezza fisica e superficiale, che poi per forza scompare, e bellezza sfolgorante delle parole plasmate dal poeta, che ci parlano e ci scuotono ancora.


Parlando di cambiamento, c’è sempre un momento, nel corso di una metamorfosi ovidiana, in cui il soggetto non è più quello che era, eppure non ha ancora preso nuova forma. È un momento che, lo so, ti interessa anche dal punto di vista linguistico. Ho imparato molto, ascoltandoti e leggendo il testo di Ovidio, sia in lingua originale che in traduzione, insieme agli studenti: per esempio, siamo andati a cercare il passo in cui Atteone non è più uomo ma nemmeno completamente cervo. Mi chiedo, tra tutti gli episodi di trasformazione e identità sospesa in Ovidio, quali siano i tuoi preferiti. Mi sembra, poi, che le «Metamorfosi» possano riflettere la tua esperienza di scrittrice, sospesa come ti trovi tra lingue e culture diverse.

Ogni trasformazione in Ovidio mi commuove. Rispondo sempre allo smarrimento che accompagna il mutamento, lo stato sospeso e silenzioso, la mancanza di un solo punto di riferimento: tutto ciò spiega la mia condizione personale e creativa e la mia nuova attività di traduttrice. Secondo me il capolavoro di Ovidio è un omaggio continuo, forse inconscio, alla traduzione, all’idea di esistere fra due realtà, di scavalcare i confini, di guardare allo stesso tempo indietro e avanti. A parte Dafne, con cui mi identifico, amo particolarmente, nel terzo libro, la trasformazione di Eco in sola voce e, nel quinto libro, la trasformazione di Aretusa in acqua.


Per molti anni hai diretto, a Princeton, il programma di scrittura creativa. Da quello che mi racconti e dai corsi che hai proposto in quel contesto, imparo, che per te è importante leggere in maniera creativa, prima ancora di cominciare a scrivere. Forse allora bisognerebbe pensare alla figura dell’autore non solo in termini di originalità ma anche di metamofosi – tra lettura e scrittura, tra opera antica e libro futuro, tra ascolto e parola. Che cosa dici agli studenti, quando si presentano da te, in classe, col desiderio di imparare la creatività?


Ovidio è un po’ fissato con le origini. Il primo libro si conclude con la parola ortus: il nascere, il principio, il sorgere. Parla di Fetonte, un ragazzo che va in cerca del padre per capire chi sia. Finisce in tragedia. In generale, nelle Metamorfosi, c’è un’attenzione particolare alle origini dei personaggi, alla provenienza, solo che poi i personaggi cambiano, radicalmente, e le origini hanno poco a che fare con le loro nuova identità. Ovidio allora ridefinisce la parola «originale», anche perché la sua opera è poi una rilettura

e una ricostituzione della mitologia, della geografia e dello spirito della Grecia antica. Morale: anche le origini sono instabili, fluide, e vanno interrogate, riconsiderate. Nel mio piccolo, ora che traduco me stessa dall’italiano all’inglese, non so più cosa significhi un testo originale. Agli studenti, in ogni caso, dico sempre le stesse cose: leggete, imparate nuove lingue, apprezzate e rispettate la forza della letteratura, amatela.


Dai nostri inviati al Festivaletteratura

 


Testimonianze dai giorni del Festival a Mantova

Usama al Shahmani scrittore di lingua tedesca e di origine irachena rifugiatosi in Svizzera. 

Cresciuto in Iraq laureato in lingua e letteratura araba moderna. Ha pubblicato tre libri prima di fuggire in Svizzera per critiche aspre al regime. Due libri di cui ha parlato a Mantova:  "In terra straniera gli alberi parlano arabo",  Marcos y Marcos 2021, narrazione tra due culture in cui gli alberi della terra d'esilio sembrano parlare una lingua che salva e ricongiunge alle radici; e "la piuma cadendo impara a volare", Marcos y Marcos 2022

Diamela Eltit scrittrice cilena: magnifico l'incontro, culturalmente impegnativo e tragico per l'animo soprattutto per il ricordo degli anni di Pinochet. Molte notizie si sanno ma non si arriva ad immaginare l'esistenza di persone che raccontassero la loro morte da vivi. Oppositori al regime fucilati ma riusciti a sopravvivere e che parlano di se stessi come fossero morti. Lella Costa ha letto qualche pagina del libro dell'autrice  "Errante erratica - pensare i limite tra letteratura, arte e politica. 

Christoph Ransmayr, scrittore austriaco  autore di racconti etnografici molto interessanti "l'ignoranza, il mutismo, il bagaglio leggero, la curiosità o almeno la volontà non solo di giudicare il mondo ma di viverlo, di vagare per esso, è tutto ciò che ho da dire: circumnavigare, arrampicarsi, nuotare, se necessario soffrire, fanno probabilmente parte dei prerequisiti per la narrazione". 

Aleksandar Hemon scrittore bosniaco che si scoprì emigrato per caso mentre era a Chicago per uno scambio giornalistico, arricchente la scoperta di un autore che scrive in prosa in lingua inglese e in bosniaco le poesie, ha presentato un libro doppio, da una parte "I miei genitori" dall'altra "Tutto ciò non mi appartiene"

Antonio Castronuovo, Hans Tuzzi, Afro Somenzari hanno parlato di bibliopatologie, bibliofili e bibliomani;  incontro esilarante con tre uomini di cultura scanzonati e molto interessanti

 Andres Neuman,  autore di Anatomia sensibile, originario di Buenos Aires ma spagnolo di adozione, ci ha parlato di semantica e parti del corpo umano. Brillante e spigliato accompagnato da una  Lella Costa sempre bravissima. 


Tullio e Rita 


19 ottobre 2022

Consiglio di lettura - estiva


Questa estate ho letto il "Don Chisciotte", un'opera che colpisce per gli innumerevoli piani di lettura e interpretazioni. Da qui partono alcune piccole, modeste riflessioni su questo enorme materiale che Cervantes ci ha lasciato come eredità collettiva. Riflessioni sparse ispirate dal "Don Chisciotte della Mancia" Miguel de Cervantes (1547-1616) ormai avanti negli anni, forse in prigione, progetta un'opera che ha come protagonista un cinquantenne, un piccolo proprietario terriero del suo tempo che dopo letture accanite di romanzi cavallereschi, molti dei quali senza testa né coda, crede di essere un Cavaliere errante. Alonso Quijano soprannominato "il buono" diventato Don Chisciotte decide di darsi all'avventura andando in giro per la Spagna a radrizzar torti, mosso dall'amore platonico per una contadinotta del suo paese, vista 4 volte in tutta la sua oziosa e miseranda vita. Nonostante i continui rovesci della sua tristissima esistenza, Cervantes riesce a farci ridere. Seguiamo senza batter ciglio le vicende comico-picaresche di Don Chisciotte considerandolo di primo acchito un folle qualunque. Lentamente, pero', addentrandoci nel romanzo, il nostro giudizio cambia. Ciò che ci colpisce è la sua resilienza ai fatti della vita, la sua capacità di rialzarsi dopo ogni caduta, armato di una fede e una serietà di intenti eroica, impareggiabile. E' sicuramente un folle, ma un folle dai pensieri lievi, limpidi, cristallini. Parla di ingiustizie da sanare, di difesa dei deboli, di libertà, di giustizia divina e di giustizia degli uomini, di compassione, di misericordia... Cosi' egli risponde al curato, uno dei tanti che lo vogliono far rinsavire: "...Cosi' voi non credete ai romanzi cavallereschi...da quando sono un Cavaliere errante mi sento più coraggioso, misurato, generoso, cortese, liberale, garbato, audace, tollerante, paziente, resistente alla fatica... È come se il nostro antieroe sfuggito al controllo e all'ironia del suo autore difendesse le sue tesi con rigore e convinzione: quando un'opera letteraria incendia i cuori e da' consolazione alle vite degli uomini, muovendoli all'azione allora e' da considerarsi "vera". Don Chisciotte quindi difende i romanzi cavallereschi in virtù di quella metamorfosi interiore che essi hanno prodotto in lui, una metamorfosi che prende corpo anche nel lettore stesso del romanzo di Cervantes che come per magia, sposa molte delle tesi del folle e soffre insieme a lui delle continue busse e burle che lo incalzano per tutta l'opera. Niente è però casuale. "Il Don Chisciotte della Mancia" (1^parte 1605; 2^parte 1615) è ancora figlio di quel pensiero rinascimentale che utilizza come metodo di conoscenza del mondo "la similitudine". Il macrocosmo e il microcosmo, il cielo e la terra, gli Uomini e gli animali, le piante sono un tuttuno che può essere conosciuto trovandone le analogie, i punti in comune, le corrispondenze. Ecco che l'uomo rimanda alla terra: la carne è la sua zolla, le ossa sono rocce, le vene sono come grandi fiumi; Il suo volto rimanda al cielo: gli occhi sono stelle che irradiano luce come astri nell'oscurità... Ed è così che si muove anacronisticamente Don Chisciotte, sforzandosi di trovare similitudini tra i romanzi cavallereschi letti tanto avidamente e la realtà prosaica che lo circonda. Ma ahimè...i mulini a vento non sono giganti, pecore e montoni non sono eserciti... Il nuovo pensiero seicentesco che avanza si fonda non più sull'essere "come" , bensi' sulla differenza, sulla diversità, sullo studio identitario dei segni. Il mondo non è più un tuttuno, ma tutto viene catalogato dalle diverse discipline secondo ordine e misura. Nasce la tassonomia e con essa le scienze naturali. Questa grande Verità che si frammenta in tante piccole verità relative è cosa difficile da accettare per chiunque, non solo per Don Chisciotte. Insomma... il nostro antieroe, una mattina esce di casa e non riconosce più il suo mondo, ciononostante si sforza con coraggio, fino alla morte, di trovare corrispondenze con una "idea di mondo" che sopravvive solo nel ricordo dei suoi libri tanto amati. Ma oramai trovare le antiche similitudini è un compito lasciato solo al pazzo o al poeta... L'incredibile modernità che il romanzo conserva nel suo scorrere via nei secoli ci rimanda al destino che noi, suoi figli condividiamo con il nostro Hidalgo di fronte a una società che oggi come allora ha perso la bussola e che epidemia, guerra, crisi energetica e ambientale ci hanno reso irriconoscibile e inquietante. Ed e' cosi' che Alonso Quijano il Buono alias Don Chisciotte come una voce "numinosa" dal profondo, inneggia a pensieri semplici e lineari, fedeli a degli ideali. Ci invita a resistere, a difendere la nostra unicità e ad agire perché sanare ingiustizie, difendere i più deboli, parlare di diritti e libertà di fronte a un mondo che cambia non è più puro idealismo, ma mai come oggi, necessità.

 Patrizia

29 maggio 2022

Approfondimento Daniele Del Giudice


Il libro del mese di aprile, Atlante Occidentale di Daniele del Giudice, ci ha fatto conoscere un autore molto interessante che è stata una rivelazione per alcuni e una conferma per altri. Alcuni di noi non hanno resistito alla tentazione di andare oltre a quell'Atlante e leggere altri libri e altre sue testimonianze.

Raccogliamo con piacere quella di Patrizia

"Staccando l'ombra da terra"

Ogni racconto di quest'opera  diventa territorio circoscritto di una particolare esperienza di volo in un  crescendo continuo tra tempo passato e tempo presente. Il libro è un viaggio a ritroso  nell'infanzia dell'autore quando ha origine il suo interesse per "le Cose", la sua predisposizione  per la meccanica degli oggetti e la passione per il volo. Un ritorno anche ai tempi  eroici degli aerosiluranti e degli aviatori della seconda guerra mondiale quando dalla conoscenza del pilota dipendevano gli esiti delle missioni aeree e i destini degli uomini.

Se uno dei nodi centrali di tutta l'opera di Del Giudice è il rapporto dell'uomo con le cose che lo circondano anche le emozioni che in questo rapporto nascono, giocano un ruolo non secondario. Tecnica e sentimento dunque apparentemente inconciliabili si fondono in un legame intenso che si fa letteratura.  L'autore,  raccontandoci il suo desiderio infantile di essere un aeroplano, non tralascia quel "sentimento di responsabilità" che la cosa-aeroplano sente nei confronti degli esseri umani che trasporta. Anche nelle azioni aeree della Regia Aeronautica  descritte nel dettaglio, l'autore non dimentica di raccontare gli uomini e il loro voler essere gruppo, equipaggio con uno spirito antidivistico che era "la loro misura sentimentale".

Un passato quindi in cui le vicende dei piloti  generavano un' energia che mischiava insieme capacità tecnica, paura, euforia, senso del dovere, ma è nel presente che l'autore guarda quando si chiede quale significato abbia oggi,  nell'epoca dell'elettronica e dell'automatismo  "diventare piloti" e che senso abbia la conoscenza del pilota.

Sembra che qui la risposta rimanga sospesa, nascosta tra le righe, nel passaggio sottile che va dall'esperienza del volo all'esperienza della vita. I bei racconti "Fino al punto di rugiada" e "Manovre di volo" aprono a prospettive più intime e personali.  Volo e Vita messi a confronto dunque tra similitudini e differenze. E così:

"Ti perdesti una mattina in volo come ci si  perde nella vita...scivolando a poco a poco nel non trovarsi più..."

Anche il linguaggio  usato, importato dalla tecnica e dai manuali si arricchisce  di nuovi significati e nuove percezioni, facendosi più poetico e forse a tratti intimista quando il volo diventa viaggio interiore nel mondo dei sentimenti. 


26 aprile 2022

Gruppo di lettura _ Mese di febbraio: Notte tenebricosa di Giorgio Manganelli

Titolo: Notte tenebricosa

Autore: Giorgio Manganelli

Editore: Graphe.it

Con testo di Lietta Manganelli

Anno 2021

Per il mese di febbraio il nostro capogruppo  Oreste Sabadin ci  ha proposto la lettura di "Notte tenebricosa" di Giorgio Manganelli. Abbiamo accolto la sua sfida per un'opera che non è di facile lettura, ma che abbiamo apprezzato, alcuni con qualche perplessità, per lo straordinario contenuto immaginifico che essa contiene. Attraverso il proliferare di immagini visionarie Manganelli costruisce la sua versione del destino tragi-comico dell'uomo, ricorrendo  alla poesia, alla fantasia, alla religione, ai miti.

 Nel suo mondo non esiste la dicotomia male/bene, Dio/diavolo, ma  al suo posto regna sovrana l'ambiguità fatta  di figure "sghembe", empie e sacre al tempo stesso. 
Il Paradiso/Inferno manganelliano è abitato da angeli- demoni come Eleuterio e  Asmodeo e da mediatori come il grottesco Avvocato che mantengono rapporti con entrambi i mondi, funzionari di Dio, ma che  strizzano l'occhio anche  ai diavoli.
Paradiso e Inferno sono quindi immagini speculari e l'uomo è destinato come in una giostra, ora alle delizie del primo, ora allo strazio del secondo senza alcun merito né logica. 

Un Manganelli piu' poetico che ironico, auspica  a una religione del futuro che predichi la caduta del muro del paradiso e di quello dell'inferno affinché ci possa essere scambio dei rispettivi ospiti attraverso tunnel, metropolitane e sopraelevate perché:
"forse vi sono pregi  nel porcellanato empireo e nel cromaticamente intenso inferno, bellezze che non vanno né obliate né perdute."

Il libro si apre con numerose metafore culinarie (e qui l'ironia regna sovrana) in cui il cosmo sembra debba trasformarsi tutto in cibocommestibile. Ecco che l'esistenza del genere umano con le sue tribolazioni è solo un lungo processo di maturazione, stagionatura e cottura per trasformare l'uomo alla fine, "in degno cibo per gli dei".


E in tutto questo che cos'è  la "Notte tenebricosa"? La figlia Lietta definisce la Notte: "luogo privilegiato dell'anima", molto caro a Manganelli.
In un mondo a gambe all'aria, privo di qualsiasi metro di valori, la Notte è l'unica depositaria dell'Amore e  nell'immaginario  dell'autore assume le vesti sempre femminili ora di  madre/massaia che cucina per " un  Dio contadino, sanguigno e affamato", ora in "gramaglie" sempre addolorata e in lutto, avvolta tutta nel suo dolore arcaico per un Dio ormai morto che non può più concupire; o ancora perpetuamente dedita all'inseguimento dell'amato e cromatico Giorno, ma destinata a non raggiungerlo mai. 
La troviamo vestita dei suoi diamanti (le stelle), del suo medaglione (la luna) e dei suoi anelli (i pianeti) perché è vanitosa e "femmina di immensa bellezza". O raccontata attraverso metafore erotico-sessuali dove la Luna diventa la sua vulva, i Cicli Lunari i suoi mestrui, le Eclissi i coiti non andati a buon fine... E infine ammattita, immersa insieme a noi, suoi figli "nel  manto nero come la pece  della sua notturna depressione dalla quale non ci potrà  mai lavare il candeggiante, scadente Sole".
Una Notte/Anima che ci guarda dall'alto con compassione, sempre innamorata e mai ricambiata, fragile e indifesa, consapevole della sua eterna solitudine e forse per questo "regina delle abbandoniche". Nelle molteplici metafore culinarie è sempre presente come pentola, contenitore, dispensa, cantina, caverna, avvolgente e amorevole, accogliente e "uterina".

Nessun commento  può rovinare  la lettura dell'opera di Manganelli perché è la scrittura  la vera protagonista: riccamente adornata di metafore e ossimori, geniale e artificiosa, sapiente e "un po' malata",  che attinge ai contenuti del passato ma che al tempo stesso guarda al futuro con i più strambi accostamenti linguistici e invenzioni. 
Patrizia C.

30 gennaio 2022

Gruppo di Lettura _ Mese di gennaio: La musica


La musica nella letteratura e nelle nostre vite è stato il tema dell’incontro del Gruppo di lettura che ha accompagnato il saluto all’anno vecchio e l’avvio del nuovo anno. Nel tepore del salotto letterario della Casa con l’arco, in pochi, distanziati e arieggiando i locali abbiamo lasciato che le note, il ritmo e soprattutto le nostre considerazioni uscissero dalle pagine e si diffondessero nello spazio. 
 Abbiamo dovuto fare ordine e comprendere quali fossero gli argomenti e come trattarli, vista la vastità delle suggestioni e soprattutto i tanti punti di vista di questo affascinante mondo. L’invito alla riflessione era partito qualche mese fa intrecciando la musica creata e suonata con l’aspetto emotivo e coinvolgente che possono suscitare alcune canzoni. Da qui la domanda: perché fin dall’inizio del mondo la musica è così importante, perché la sentiamo, perché fa parte di noi?

Invitati a leggere il libro di Nicola Campogrande “Occhio alle orecchie: come ascoltare musica classica e vivere felici” ci siamo poi confrontati allargando gli orizzonti e portando ognuno di noi libri che avessero attinenza con la musica misurandone le diverse influenze.

Ciò che ha trovati tutti concordi è il ruolo che la musica gioca nelle nostre vite e come essa sia indossata in modo diverso nello scorrere dei giorni delle emozioni e delle sensazioni quotidiane. Una stessa musica, indipendentemente dall’oggettività della realizzazione, può essere apprezzata oppure denigrata se ad essa la nostra mente associa pensieri positivi o negativi.

Qualcuno di noi ha approfondito l’aspetto organico tecnico del suono, ciò che la musica produce a livello cerebrale, i neuroni che vengono interessati e come rispondono alle sollecitazioni. Questo è quanto tenta di spiegarci Daniele Schon nel suo “Il cervello musicale. Il mistero svelato di Orfeo”. In questo viaggio nell’affascinante mondo delle neuroscienze l’autore ci conduce per mano dentro le orecchie e tra le pieghe degli emisferi cerebrali per cercare di riconoscere e nominare ciò che la musica produce e muove: se sia una forma di linguaggio e quale potrebbe essere la funzione rinnovata da attribuirle per la maturazione di un popolo e della sua cultura.

Ma da dove nasce la musica? Forse dal nostro ritmo interiore, forse dal battito del cuore materno, l’essere umano ha bisogno di ritmi e cadenze per rassicurarsi, per sfogare le situazioni di tensione, pensiamo alle ninne nanne, alle filastrocche, ai canti popolari dei lavoranti, ai canti della guerra, alla semplice canzoncina sussurrata mentre si stira o si guida, ci si avvicina così a grandi passi alla letteratura, alla metrica delle poesie, all’uso degli esametri e delle ottave utilizzate per rendere lo scalpitio di un cavallo o la lentezza del procedere di un passo. Rita ci legge delle poesie tratte dal Bestiario di Pablo Neruda (con le magiche illustrazioni di Luis Scafati) e con la lettura cerca di riportarci ad un’immedesimazione tra il gatto e le parole scelte per descriverlo. Legge poi un’altra poesia tratta da Acqua di Laguna di Mario Stefani e seguendola dentro i versi sembra di scorgere quell’osmosi città-laguna tanto cara al poeta. Tullio, segue la stessa strada e sceglie Giovanni Verga per sperimentare l’uso del linguaggio verista capace di trasmettere la lentezza del paesaggio siciliano, il lento trascorrere del tempo, la digressione del pensiero facendoci notare come quella sorta di ritornello nominale “Di Mazzarò” possa essere percepito come un suono di un tamburo, che richiama la forza della proprietà, della terra oggetto della novella “La roba”. 

Come non ricordare su questo tema parola-musica “La pioggia nel pineto” magnifico esempio di quanto l’utilizzo di alcune parole e addirittura di alcune lettere possano trasformarsi nel suono di un agente atmosferico come la pioggia.

Il passaggio dalla poesia alla letteratura avviene con un libro scelto da due partecipanti “Madrigale senza suono” di Andrea Tarabbia, qui la musica è protagonista della vita di un uomo vissuto nel medioevo, il principe Carlo Gesualdo da Venosa, narrata da Igor Stravinskij, che durante un suo viaggio a Napoli si imbatte nella storia di quest’uomo che nella vita avrebbe voluto solo comporre e cacciare e che invece viene richiamato ai doveri di politica e di potere e distolto dalla grande missione della sua vita: la composizione di sette madrigali che dovevano segnare la fine di un’epoca musicale e l’inizio di una nuova. La sua vita condizionata dal compito che gli viene assegnato e dall’uxoricidio viene raccontata da Gioacchino Arditty, compagno di vita del Principe. Dal manoscritto finito nelle mani del compositore russo, come in un gioco di matrioske, si vedono aprirsi porte e cunicoli sul periodo rinascimentale, un’indagine approfondita e densa sul ruolo del dolore nella creatività degli artisti, la convivenza tra la capacità di compiere crimini efferati e la sensibilità geniale della composizione musicale, l’eterna lotta tra potere e coscienza personale, la sfida tra medicina scienza e stregoneria; la ricerca infine della musica perfetta, con lo scopo di adattarla all’infinito astronomico e il limite intrinseco di doverla scrivere e limitare sul pentagramma.

 Facciamo però un passo indietro all’inizio di questo bellissimo incontro, la proposta di Oreste, che ci apre qualche pagina di “Il giardino del Mediterraneo” di Giuseppe Barbera, arricchito dai suoi disegni, vuole invitarci ad una riflessione ampia sull’attinenza che ci può essere tra l’intervento antropico sul paesaggio e di come sia quasi impossibile trovare un paesaggio puro senza scorgervi l’intervento umano e allo stesso modo come sia l’azione dell’uomo ad intervenire sulla melodia, creando musica con strumenti di diverso tipo finanche a quelli informatici;  ma il cinguettio degli uccelli, il frusciare delle foglie, l’ululato del lupo possono essere definiti musica?!

Qualcuno esprime il disaccordo attribuendo alla parola musica quella forma d’arte che trova collocazione nella maestosità di un teatro con un’orchestra che guidata da un maestro renda tutta la meraviglia della perfezione contenuta nello spartito e alla quale approcciarsi preparati, studiando per poter abbandonarsi alla bellezza del suono con la giusta consapevolezza. Come sempre i cerchi concentrici di un tema così ricco sono infiniti e allora che ruolo possono avere le canzoni, le canzonette, i testi della musica che passa alla radio e che tanta parte delle nostre vite assorbe e ritorna nel tempo. Mario suggerisce la lettura di “Come funziona la musica” di David Byrne, fondatore dei Talking Heads, per rispondere all’importanza delle dimensioni spazio-tempo nell’ascolto. Molta rilevanza viene data dall’autore allo spazio dove la musica viene prodotta che quasi condiziona la produzione stessa (si scrive la musica anche per raggiungere alcune persone in alcuni luoghi definiti), analizzandone l’evoluzione affiancata alla modifica del modo di vivere del pubblico, alle abitudini e adattandola ai nuovi strumenti  e perché no agli eventi sociopolitici. 

 Tra gli autori che hanno provato a rispondere alla domanda sul perché ci piaccia la musica ci ha provato Silvia Bencinelli con il libro “Perchè ci piace la musica: orecchio, emozione, evoluzione” un libro, presentato da Piera, che indaga partendo da studi sui primati e dalle prime testimonianze di formalizzazione della musica l’evoluzione di questa disciplina, le attitudini dei singoli, osservandone le diverse reazioni sui neonati e sui bambini, l’intensità delle emozioni e del piacere che può dare l’ascolto, provando ad intersecare le diverse forme del linguaggio e di comunicazione e provando a fare un’analisi anatomica del cervello per confermare che le aree interessate da parole e suoni sono diverse. Necessari e utili questi approfondimenti per affermare e riflettere sulla necessità della musica nella nostra vita e nel nostro organismo, Erri de Luca parla di “Musica provata” riferendosi al sentire soggettivo e personale. Un altro saggio che invita a questa riflessione è “Le vie dei canti” di Bruce Chatwin scrittore britannico conosciuto per i suoi diari di viaggio. Questo in particolare si è svolto in Australia e l’autore ha analizzato i canti rituali degli aborigeni, il ruolo di iniziazione e l’importanza del tramandare queste tradizioni. Lo fa ripercorrendo le strade simboliche ed ancestrali che gli aborigeni compiono in onore alla nascita della loro civiltà. Qui il ruolo del canto è la continuazione della vita preservandola dalla ricaduta nel caos, un ruolo salvifico dunque.

La commistione tra i linguaggi è anche il nucleo attorno al quale ha preso forma il breve racconto “Sonata a kreutzer” di Lev Tolstoj, il contributo di Vasile. Un racconto dai toni forti e intensi che si svolge all’interno del vagone di un treno. In questo piccolo ambiente un uomo racconta all’amico -narratore  dell’omicidio della moglie a seguito del suo sospetto tradimento con un musicista. Quando i due amici suonano la sonata le sensazioni che questa provoca sulla mente dell’esecutore non solo rafforza l’idea ma confonde quasi la sintonia delle note con quella dell’immaginazione carnale dei due corpi uniti. Qui la musica rivela e chiarisce.

Chiudiamo con un contributo a distanza di Patrizia che ha letto per noi "Il nipote di Wittgenstein. Un'amicizia" di Thomas Bernhard.  Il libro è un tributo al grande amico, Paul Wittgenstein, nipote del filosofo  Ludwig e uno degli eredi della nota e ricchissima famiglia austriaca Wittgenstein. Vi è in quest'opera una correlazione stretta  tra tre temi: l'amicizia, la malattia e la musica. Nel 1967 l'autore e Paul W. si trovano ricoverati entrambi nell'ospedale Steinhof di Vienna. Paul viene curato per problemi psichiatrici mentre Thomas per una neoplasia al polmone. L'esperienza della malattia e la comune passione per la musica classica suggelleranno la loro lunga amicizia. La complessità della figura di Paul viene infatti raccontata attraverso la musica: grande frequentatore del Teatro dell'Opera di Vienna, capace di decretare il successo o l'insuccesso di un'opera musicale;  per tre anni visita i più grandi teatri dell'opera del mondo; sa confrontare le qualità dei vari cantanti lirici del tempo;  In grado di tenere una conferenza  su Stravinskij e  spiegare la sinfonia Haffner di Mozart come  un  prodigio della matematica. Bernhard traccia il filo invisibile che unisce la musica e la malattia mentale di Paul. Descrive una mente, comune a molti malati psichici, che non riesce a liberarsi dal continuo "accrescersi e ingorgarsi" di ricchezze spirituali e intellettuali tanto da "esplodere", una mente che produce ininterrottamente bellezza spirituale tanto da saper coordinare e confrontare tutto cio' che attiene alla disciplina musicale. Dopo i numerosi ricoveri in ospedali psichiatrici, Paul è solito rifugiarsi nella  casa di campagna di Bernhard e seduto in cortile, ascoltando ad occhi chiusi, chiede all'amico  i dischi di quei musicisti da lui amati che lo metteranno nella giusta disposizione  d'animo: "un Beethoven, per favore", "un Mozart, per piacere",  "uno Strauss, ... E' un libro sulla forza salvifica della musica e dell'amicizia che  può lenire i dolori, le mancanze, i drammi di una vita.

L’incontro si chiude con la lettura di una bella poesia di Valerio Magrelli dal titolo “Musica”

- Occhio alle orecchie: come ascoltare musica classica e vivere felici _  Nicola Campogrande _ Ponte   alle grazie 2015. 

 - Il cervello musicale. Il mistero svelato di Orfeo _  Daniele Schon _ Il Mulino 2018 

-  Bestiario _  Pablo Neruda _ Guanda 2021 

- La roba _ Giovanni Verga _ Mondadori 1976

-  Acqua di Laguna  _  Mario Stefani _ 1991 

-  Madrigale senza suono _  Andrea Tarabbia – Bollati Boringhieri 2019 

-  Il giardino del Mediterraneo: storie e paesaggi da Omero all’Antropocene _  Giuseppe Barbera _ Il    Saggiatore        2021

-  Come funziona la musica _ David Byrne – Bompiani 2014 _ trad A. Silvestri 

- Perché ci piace la musica: orecchio, emozione, evoluzione _  Silvia Bencinelli _ Sironi 2007 

-  Musica provata _ Erri de Luca _ Feltrinelli 2014 

-  Le vie dei canti _  Bruce Chatwin _ Adelphi 1995 _ trad: Silvia Gariglio

-  Sonata a kreutzer  _  Lev Tolstoj _ Einaudi 1953 _ Trad Leone Ginzburg 

- Valerio Magrelli _ Poesie 

- Thomas Bernhard _ Il nipote di Wittgenstein. Un'amicizia _ Adelphi 1989 _ Trad Renata Colorni