12 Dicembre 2021
Se appena mi fossi voltato, avrei visto la Stazione in tutto il suo splendore rettangolare fatto di neon e di urbanità, avrei visto le lettere di scatola che dicevano Venezia. Ma non lo feci, il cielo era pieno di stelle invernali, come accade spesso in provincia. Da un momento all’altro un cane poteva abbaiare in lontananza; oppure poteva farsi vivo un gallo. Con gli occhi chiusi contemplai un ciuffo di alghe impigliato in uno scoglio – alghe sotto zero che si aprivano a ventaglio contro lo scoglio umido, forse invetriato dal ghiaccio, in qualche punto dell’universo, uno qualunque, non importava. Io ero quello scoglio, e il palmo della mia mano sinistra era quel ciuffo, quel ventaglio di alghe marine.
È questa la mia ambizione. Se finisco fuori strada,
è perché qui succede
continuamente, con tante strade fatte d’acqua. Da queste pagine, in altre parole,
potrà non venir fuori un racconto, una storia, bensì il fluire di un’acqua limacciosa
«nella stagione sbagliata dell’anno». A volte appare azzurra, a volte grigia o
bruna; invariabilmente è fredda e non potabile. Il motivo per cui mi ingegno a
filtrarla è che contiene tanti riflessi, tra i quali il mio.
Non stupisce che di giorno si colori di verde, come il fango, e diventi nera come la pece di notte, quando fa concorrenza al firmamento. È un miracolo che, dopo essere stata accarezzata e strapazzata per oltre un millennio, non abbia falle, sia ancora H2O – ma è meglio non berla –, riesca ancora ad alzarsi. Fa pensare davvero alla carta da musica, ai fogli di una musica eseguita in continuazione: le partiture si avvicendano come ondate di marea, le barre del pentagramma sono i canali con gli innumerevoli «legati» dei ponti, delle lunghe finestre o dei curvi fastigi delle chiese di Codussi, per non parlare dei violini che hanno prestato il manico alle gondole. Sì, tutta la città somiglia a un’immensa orchestra, specialmente di notte, con i leggii appena illuminati dei palazzi, con un coro instancabile di onde, col falsetto di una stella nel cielo invernale. La musica, s’intende, è ancora più grande dell’orchestra; e non c’è mano che possa voltare il foglio.