Autore: TAIYE SLASI
Editore: Einaudi 2013
Traduzione: Federica Aceto
E' inevitabile pensare all'incipit più famoso della letteratura _ "tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo"_, al termine del romanzo "La bellezza delle cose fragili" di Taiye Selasi, giovane autrice britannica di origine ghanese e nigeriana.
E anche in questo caso l'incipit cattura:
"Kweku muore scalzo, una domenica all'alba, le pantofole all'uscio della camera, come cani", _ da questa scena origina il lungo racconto che progressivamente ci fa conoscere le storie e i segreti di ognuno degli elementi della famiglia, pagina dopo pagina i personaggi guadagnano consistenza e profondità. Ci vengono presentati ad uno a uno dapprima solo con un elemento distintivo: tristezza, angoscia, mancanza, e solo con lo scorrere delle pagine la superficialità viene penetrata e poi scolpita finché la personalità di ognuno si delinea e prende il posto in quel cerchio che solo una volta completato prende il nome di famiglia.
"i Sai, sono senza peso, cinque persone sparse per il mondo, una famiglia senza gravità. Una famiglia che non ha sotto niente di cosí pesante come i soldi, che servono per tenerli fermi allo stesso pezzo di terra, un asse verticale, sotto di loro niente radici, nessun nonno vivente, senza storia, orizzontali – sono andati alla deriva, si sono dispersi verso l’esterno, o verso l’interno, notando a malapena quando un altro familiare si è allontanato".
Il libro mi è piaciuto molto, per l'originalità della scrittura, per il ricorso a strumenti particolari (la presenza di un cameraman che occasionalmente compare per spostare il punto di vista, a richiamare forse l'altra passione dell'autrice: la fotografia), per la capacità di dipingere le persone con poche parole precise, e per il viaggio geografico, storico e intimo che ci fa compiere Taiye Selasi. L'approdo in terra africana è da subito colorato acceso e stimolante:
"La persistenza della bellezza, proprio nelle cose più fragili, una goccia di rugiada all'alba, una cosa destinata a finire nel giro di qualche istante, in un giardino, in Ghana, il Ghana, terra rigogliosa, morbida, verde, dove le cose fragili muoiono.".
"Le palme che si allungano in avanti in angoli di quarantacinque gradi sembrano scuotersi i capelli sulla sabbia, sopra lunghe barche di legno dai colori spettacolari, decorate con festoni neri per le alghe e bianchi, blu e verdi per le reti"
E' lì che queste anime raminghe si ritrovano per rendere l'ultimo saluto al padre e per riannodare i fili disciolti negli anni.
Una madre, forte, silenziosa, riservata, che non risponde delle sue decisioni, un figlio maggiore che sente troppo pesante la responsabilità del padre, una figlia minore che vive con angoscia l'essere la prediletta ma anche la dimenticata e i due gemelli, anime affini che travolgono con la loro sconvolgente storia vissuta cercando di sollevarsi al di sopra e al di fuori del loro destino.
Anime complesse e affascinanti:
"sono due metà di un solo spirito, uno spirito troppo grande per essere contenuto in un solo corpo. Sono esseri liminali, metà umani, metà divini, e devono essere onorati come gli si confà, se non addirittura adorati. Il secondo gemello, in particolare, il changeling e il trickster, meno affascinato dalle cose del mondo rispetto al primo, viene sulla terra con grande riluttanza e vi rimane con un maggiore sforzo, consumato dalla nostalgia per i regni spirituali. Alla vigilia del giorno in cui i due gemelli nasceranno, ognuno nel proprio corpo fisico, il secondogenito, scettico, dice al primo: «Vai fuori e vedi se il mondo è un bel posto. Se è cosí, restaci. Se non lo è, torna indietro». Il primo gemello, Taiyewo (dallo yoruba to aiye wo, «vedere e assaggiare il mondo», abbreviato in Taiye o Taiwo) lascia docilmente l’utero e parte per la sua missione di ricognizione. Trova il mondo di suo gradimento e decide di rimanere. Kehinde (dallo yoruba kehin de, «arrivare dopo»), vedendo che la sua metà non torna, si appresta senza fretta a raggiungere il suo Taiyewo, degnandosi di assumere una forma umana. Gli yoruba quindi considerano Kehinde il piú grande: nato per secondo, ma piú saggio, e quindi «piú vecchio".
E quando tutte le figure trovano completezza, in quella casa disegnata dal padre che diventa famiglia cosa resta?
"Piú tardi, molto piú tardi, dopo che la luna è sorta e il giorno ha vissuto la sua spettacolare morte in un tripudio di rosso e arancio iniettato di sangue, blu e magenta, un tramonto mozzafiato che nessuno di loro ha visto, si siedono di nuovo a tavola (riso, minestra di melanzane; tutti tranne Taiwo, che sta riposando), poi scivolano via ognuno verso la propria stanza, ognuno seguito da una debole scia di ferite e flebili speranze, che si insinuano sotto le porte che si chiudono"
Micaela