16 febbraio 2023

Convegno: “Venetarium. Le voci della narrativa veneta”

Sabadin #disegnaresuilibri 

 

Il 10 febbraio 2023 presso il Palazzo Giacomelli di Treviso si è tenuto il Convegno “Venetarium, le Voci della narrativa Veneta”. Lì per noi Oreste e Mario che ringraziamo per il contributo.

L’incontro, curato da Alessandro Cinquegrani e Gianluigi Bodi e promosso dall’Associazione Amici di Giovanni Comisso, è stato ospitato a Palazzo Giacomelli dalla Confindustria Veneto est con i patrocini del Dip. Studi Umanistici Università Cà Foscari, Comune di Treviso e appunto Confindustria.

A confrontarsi con i più affermati (Matteo Melchiorre, Paolo Malaguti e Ginevra Lamberti nell’ambito della letteratura e Miguel Vila nel sempre più distinto comparto delle graphic novels) e sotto l’attenta cura di Cinquegrani e Bodi una serie di autori anagraficamente più giovani e con alle spalle almeno un libro pubblicato che, con interventi di circa venti minuti, hanno letto e commentato alcune pagine dei loro scritti.

Nella sezione del mattino abbiamo così fatto la conoscenza di Enrico Prevedello, classe1984 insegnante, nativo di Borgoricco (PD) e della sua opera prima “Le stelle mobili del sottosuolo” edito da NEO Edizioni, nella quale si racconta la vita in un mondo dispotico; della ventisettenne veneziana Fosca Salmaso e del suo libro d’esordio “Mia sorella” che vanta già un editore importante come il Saggiatore sorretta da un Master in Storytelling & Performing Arts della Scuola Holden di Torino; del trentunenne padovano Marco Malvestio (ricercatore universitario nel campo fantascientifico ed ecologico) che ha presentato la sua opera intitolata “Annette”, storia di una pornostar che ha interrotto la sua carriera, edita da Nottetempo ed infine di Miguel Vila, illustratore trentenne padovano che ha pubblicato la sua seconda graphic novel “Fiordilatte” dopo la prima “Padovaland” entrambe per la casa editrice specializzata CANICOLA di Bologna.

Nella tavola rotonda che ha concluso le esposizioni mattutine non è parso distinto il tratto della comune origine veneta se non in parziali riferimenti geografici o urbanistici alle città di origine (Salmaso, Prevedello e Vila). Piuttosto ridotta se non assente la spinta ideale e sociale alla scrittura nelle risposte dei giovani autori quali hanno palesato solo una volontà di scrivere storie lasciando ai lettori il resto.

Le due sezioni pomeridiane hanno visto l’avvicendarsi di sei autori.


Nella prima ha aperto la già conosciuta Ginevra Lamberti, trentasettenne veneta di adozione, che ha presentato il suo terzo romanzo “Tutti dormono nella valle”, edito da Marsilio, che parla di fratture generazionali negli anni settanta; è stata la volta poi di Matteo Melchiorre (classe 1981) che proseguendo nel filone del romanzo storico ha riferito del suo libro “Il Duca” - Einaudi editore - storia epica tra furia del potere, leggi naturali e libertà individuale; la scrittrice/attrice di origine slovacca Jana Karšaiová (n. 1978) e residente a Verona ha concluso la sezione parlando del suo primo libro ”Divorzio di velluto” nel quale si affrontano i temi dello sradicamento e della rinascita. Nell’approfondimento a ranghi uniti è emersa la maggiore maturità degli autori che, a differenza dei giovani del mattino, non hanno nascosto le motivazioni sociali che li spingono a scrivere e a confrontarsi anche sul piano politico.


La sezione finale è stata aperta dalla bellunese classe 1982 Francesca Zanette che si occupa a Treviso di marketing e comunicazione e che ha presentato il suo libro d’esordio “Dove qualcosa manca” (ed. Readforblind) con il quale getta uno sguardo sul dopoguerra vissuto in un piccolo paese delle Prealpi Venete; di seguito è venuto il turno del nativo veneziano (ora a Milano) Andrea de Sprit (n. 1989) che con il suo primo libro “Ogni creatura è un’isola” (ed. il Saggiatore) citando il Sisifo di Camus si inerpica in una ricerca che conduce ad accettare l’assenza di una persona cara. La chiusura delle esposizioni individuali dell’ultima sezione è stata affidata a Paolo Malaguti, nato alla fine degli anni settanta a Monselice e insegnante alle scuole superiori, che con riferimento al tema della giornata ha attinto dal suo viaggio sentimentale tra le parole venete “Sillabario veneto” ed. BEAT leggendo la definizione della parola “mona”. Nella tavola rotonda finale, che ha anche chiuso i lavori dell’incontro, è risultato in misura maggiore che nelle precedenti il nesso alla comune radice (Zanette e Malaguti) con l’inserimento nel testo di suggestioni e riferimenti dialettali.

Encomiabile l’iniziativa coordinata del duo Cinquegrani – Bodi che, pur con i limiti dovuti ad una struttura organizzativa e scenica migliorabile, ha messo in risalto la vitalità degli autori veneti giovani e meno giovani. Forse era il caso di approfondire, sempre con riferimento al tema proposto, quali (e come) gli scrittori veneti del passato hanno ispirato gli autori presenti all’incontro e attraverso quali letture.

Mario Pigato



Sono molte le occasioni in cui si parla di identità. Identità culturale, artistica, nazionale, professionale e altre ancora. Nello specifico di Venetarium si fa riferimento alla identità veneta e in particolare nel campo della scrittura di autori e autrici giovani e meno giovani che animano la scena attuale della narrativa regionale.

Si è confermato che i confini dell’identità sono per forza di cose aperti, che non esiste un senso unico delle cose, ma, fortunatamente, e la storia dell’umanità lo conferma, che le contaminazioni e gli scambi sono da sempre utili, necessari e inevitabili. Scrivere (vivere) in Veneto è una questione geografica o logistica, il bisogno di confronto culturale, politico, sociale va molto al di la dei limiti amministrativi e come loro famosi predecessori (Parise, Comisso, Zanzotto e il più recente Trevisan) la tensione porta a una certa universalità, ovviamente con le dovute differenze personali, tenendo conto che la comunicazione dei nostri giorni è, grazie alla diffusione delle possibilità digitali, molto più libera, più fluida, immediata e contaminata.

Certo non è da sottovalutare la valenza locale, perché anche le convenzioni sociali e l’ambiente istituzionale in cui ci si muove hanno il loro peso e possono contare e condizionare, almeno per quegli autori che fanno i conti anche con la politica in senso ampio. In alcuni casi troviamo l’uso di frammenti di dialetto utilizzato come fatto sonoro o come rafforzativo di alcuni passaggi, per dare una caratterizzazione più chiara a determinate vicende e personaggi. Sono comunque persone che non parlano il dialetto se non in casi eccezionali e lo usano come una delle tante possibilità a loro disposizione.

Oreste Sabadin





5 febbraio 2023

15 _COLLE DI DANTE: ROMANO ALTO D’EZZELINO


 22 Gennaio 2023

Passeggiata Romano d’Ezzelino (VI)

Letture da: La Divina Commedia di Dante Alighieri

Il Colle di Dante ossia Colle Bastia è citato nella terza Cantica della Divina Commedia da Dante che incontra in Paradiso la sorella di Romano d’Ezzelino che così esclama. E si riferisce proprio al Colle che si incontra durante la passeggiata dal centro del paese verso Col Molin. In cima al colle è stata eretta una torre circolare in ricordo della fortezza.

In quella parte della terra prava 
Italica, che siede intra Rialto
e le fontane di Brenta e di Piava
si leva un Colle e non surge molt’alto
là onde scese già una facella
che fece alla contrada un grande assalto

Romano d’Ezzelino – il Tiranno – però viene collocato da Dante in Inferno nel 7° Cerchio (Canto XII dell’Inferno)

E quella fronte ch’al ‘l pel così nero è Azzolino

La breve facile passeggiata offre diverse installazioni in legno che richiamano alcuni passi dell’Opera, come la Barca di Caronte 

Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo
E tu che se' costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti".
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
disse: "Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti

Una delle tre bestie incontrate all’inizio del viaggio 



Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.

e la rappresentazione dei simoniaci


 



Il Panorama che si gode dall’alto oggi ci fa appoggiare uno sguardo delicato sul vicino Monte Grappa che ben si presta ad allungare l’escursione, e percorrendo quei sentieri parrà di risentire le stessa grida infernali che per anni hanno riecheggiato durante la Prima Guerra Mondiale.





4 febbraio 2023

In cammino - Gdl di Mirano

 Ringrazio il Gruppo di Lettura di Mirano in particolare Elena e Sabrina per avermi invitato alla serata del Gruppo dedicata alla letture con tema il cammino. Un tema a me particolarmente caro per le tante sfumature che questa parola e questo atto assumono nella mia vita. La facile metafora con la vita e la sua linearità con le mete e i viaggi lascia il posto a riflessioni più ampie che divagano dal filosofico allo scientifico, dallo storico allo psicologico, dall'urbano, all'ambientale. E' stata una esperienza curiosa interessante e il confronto con le diverse accezioni proposte dai partecipanti ha incrementato la mia già ampia blibliografia che va dalla cartina Tabacco alle elucubrazioni di Kant. 

Anche la nostra discussione è stata un cammino che ci ha portato per i diversi sentieri della motivazione, del modo di camminare, del piacere ma anche della costrizione. E' stato naturale quindi tracciare il netto confine tra l'entusiasmo che ci fa preparare uno zaino e partire per raggiungere le più particolari mete e l'esercito di popoli in cammino costretti all'esodo dalle proprie città. E' questa forse la spaccatura che più fa riflettere e che si percepisce ogni volta che si cammina su luoghi teatro di guerra o si passeggia da turisti su confini bombardati e percorsi ogni giorno da donne e bambini costretti alla fuga. Questo contrasto ci fa stare in silenzio e apre un abisso sull'atto stesso del cammino. La nostra individualità si è manifestata nella scelta delle letture, alcune proposte per la modalità del cammino, la solitudine scelta da chi privilegia l'aspetto introspettivo, in gruppo da chi cerca la condivisione, il raggiungimento della meta per i programmatori e il piacevole vagabondaggio per coloro che amano solo sentire la terra sotto i piedi, la curiosità di chi esplora con i piedi la storia o la scienza, la regolarità e l'impegno di chi cammina per star bene, l'adrenalina di chi sfida percorsi ostici e tortuosi spostando limiti e resistenza, il sogno di chi muove popoli alla ricerca di nuove terre.

Il confronto con molti autori che hanno unito i passi con la penna è stato occasione per confrontarci e trovare affinità con pagine poetiche, pratiche, dure o incredibilmente sognanti. 

Un accenno è stato fatto anche al ruolo terapeutico del cammino non solo dal punto di vista organico ma soprattutto psicologico. Ricerche e sperimentazioni sempre più approfondite comprovano quotidianamente che il camminare con i propri ritmi e perché no, aiutati dal canto, muove la mente ad aperture e conoscenza di sè aiutando a delineare il proprio posto nel mondo e l'abitarci sereni. 

Buon cammino a tutti. 

Bibliografia 











15 gennaio 2023

Gruppo di lettura _mese di Dicembre 2022: Il Cerchio di Meša Selimović


Titolo: Il Cerchio

Autore: Meša Selimović 

Editore: Bottega Errante Edizioni

Anno 2019

Curatore: Bozidar Stanisic 

Traduttore: Elisa Copetti

Il 22 dicembre 2022 è stato il nostro ultimo incontro dell'anno. Ci siamo trovati presso la Casa con l'Arco per scambiarci opinioni e impressioni sul libro incompiuto "Il Cerchio" pubblicato postumo nel 1983, dello scrittore serbo di origine bosgnacca Meša Selimović.

L'autore fu profondamente provato dalla perdita del fratello partigiano, giustiziato dai suoi stessi commilitoni per futili motivi. Da questo episodio Selimović trae lo spunto per una minuziosa analisi delle metodologie governative del regime comunista instaurato da Tito nelle repubbliche della Iugoslavia, dove emergono le discrepanze tra credo personale e libertà individuale da una parte, interesse collettivo e sottomissione bieca ai dettami di un governo dall'altra.

Abbiamo seguito fin dall'inizio la  sua  faticosa  fase di trasformazione interiore grazie al confronto con una vasta galleria di personaggi che lo contrastano, creando continue "crepe"  nella sua vita  pubblica e privata,  obbligandolo a riconsiderare le sue vicende familiari, la sua relazione sentimentale e non ultima la sua cieca adesione ai "valori" del partito.
In questa galleria abbiamo trovato dei personaggi  di grande umanita' che hanno inseguito il loro pensiero critico e lo hanno espresso con impeto sia dialetticamente sia con scelte di vita precise.
Tra questi spiccano:
Altri personaggi come il padre di Nina, Gortan, Misita descritti forse più sommariamente hanno accettato compromessi per ricoprire e conservare ruoli di potere all'interno del sistema, aderendo così totalmente ai diktat di partito.
Poi il dibattito ci ha portato indietro nel tempo... .
Qualcuno ha ricordato radio Capodistria,  altri che hanno viaggiato nei paesi dell'Europa dell'est  hanno rievocato la diversità culturale che si esprimeva anche  nella diversa fattura degli oggetti, un artigianato che è andato perduto in un mondo che tende sempre più ad un livellamento culturale.
 Si sono fatte  riflessioni anche sul nostro quotidiano,  sulla necessità  di coltivare un pensiero libero attraverso uno studio costante e di saper vincere le illusioni del possesso che non vuole  dire rinunciare alle cose che ci fanno stare bene bensì a riconoscere ciò che non è necessario. 

Attraverso i numerosi personaggi descritti con grande cura e intensità l'autore ha saputo rendere la complessità del clima socio- politico della ex-Iugoslavia dei primi anni '70, servendosi di dialoghi ben congegnati, combinati con le complesse riflessioni del protagonista Vladimir. 

 -Čizmić che sapientemente e con ironia si rivolta contro un partito sempre più  dogmatico "non aperto al dubbio,  alla critica, al dialogo". Di lui abbiamo apprezzato non solo le sue doti di intellettuale libero, ma anche il suo senso pratico utile ad affrontare le situazioni del quotidiano;

-Mica che vive da emarginato sull'isola fluviale, lontano dalla città rifiutandosi di accettarne logiche e comportamenti. Sua è la rivolta contro l'alta burocrazia al potere che  si crogiola nei suoi innumerevoli privilegi;

 -Ismet, lo studente sensibile e puro che non dimentica la miseria familiare di un padre minatore e una madre analfabeta. Si pone contro un potere sempre più indifferente all'impoverimento dei lavoratori;

-Nina che come Vladimir si trova in una fase di transizione,  in collisione con la sua  famiglia e i suoi privilegi per lei inconciliabili con  un sistema socialista.

Sono gli eterni insoddisfatti che da sempre sognano la giustizia per tutti, che forse non esiste; una vita per tutti ugualmente favorevole, che è forse la fantasia delle persone incapaci di accettare l’esistente. Forse i loro sogni non si realizzeranno mai, ma ciò non significa che non siano belli: per come la pensano, ogni tempo conoscerà la misura della propria onestà e dell’umanità; il nostro non la conosce, né vuole conoscerla

E infine Janko l'artista di talento, zio di Vladimir che di fronte  a una società che sacrifica il singolo alla collettività contrappone il suo pensiero libero: lo scopo della vita dell'individuo è trovare l'armonia, l' equilibrio interiore,  "l'uomo è ricco anche solo se intuisce la bellezza, troppo fluida per essere conquistata". Una vita, la sua, consacrata alla pittura con  dedizione totale e impegno quotidiano.

Vladimir era rimasto colpito quando aveva visto per la prima volta il vecchio legarsi con difficoltà il pennello alle dita della mano destra per poter dipingere. Gli era sembrato un legarsi spaventato alla vita, non accettare la separazione da significato, una fuga dall’impossibilità, non accettare la sconfitta. In quel gesto incredibile c’erano un amore immenso per la vita e l’eroismo davanti al pericolo imminente: la mano trema, le dita non hanno la forza di afferrare il pennello; l’unica sua funzione umana diventa impossibile e dunque obbligheremo la natura a piegarsi e l’impotenza a ritirarsi.”

Più complessa è la figura di Vladimir. Egli mantiene una doppiezza in tutte le situazioni narrate e ci è sembrato in fase di trasformazione, come "sospeso".  L'immagine esterna privata e pubblica che di sé vuole dare è conforme a quella " monolitica" di uomo di partito. In realtà inizia a pensare e "sentire"  emotivamente in un modo diverso.

Se da una parte  le sue vere posizioni sono sempre più affini a quelle libertarie di Cizmic e dello zio dall'altra non ha ancora maturato il coraggio e lo slancio necessario per ergersi contro quelle generalmente accettate dentro il partito. 

Vladimir spiegava allo zio che il partito era un’organizzazione che associava persone dalla coscienza limpida e non era diventato la somma dei membri che riuniva, ma la sostanza del meglio che esisteva in essi. Così il partito, rimanendo un’associazione, un’unione di persone che accolgono volontariamente un’idea e un programma per la sua realizzazione, riesce a non importare anche i loro difetti e gli errori. Come se il partito li filtrasse, li pulisse, li svecchiasse, separando gli ingredienti cattivi lasciando soltanto la materia pura.”

Qualcuno di noi ha ribadito che questo dualismo è presente anche nella sua vita affettiva. Quando Nina mette fine al loro rapporto Vladimir è invaso da un dolore profondo, viscerale, lacerante mentre dall'esterno appare pacato, composto, distante. Le ultime pagine che  raccontano l'incontro fisico  con Roksanda sembrano dare a Vladimir finalmente una dimensione più umana grazie all'Istinto che come sempre  sapientemente "droga la ragione perché non senta e non veda...".

Qualcuno di noi mosso dal contenuto del libro, ha attinto al suo impegno politico giovanile  per delineare  i soprusi- abusi  anche del sistema capitalistico che ha sostenuto dittature, creato disuguaglianze, emarginazione  e sacche di povertà sotto,  ma anche lontano dai nostri occhi. Abbiamo convenuto che esistono sistemi politico-finanziari e religiosi che si fondano, ancora oggi, sull’indottrinamento delle masse e sullo “spegnimento” del loro spirito critico”.

Nella storia sono importanti soltanto gli uomini di spirito e gli uomini che combattono per la libertà. Tutti gli altri sono semplici realizzatori di compiti quotidiani”

Le immagini contenute sono opera del lavoro prezioso e creativo di Oreste Sabadin #disegnaresuilibri 


30 novembre 2022

Gruppo di lettura _mese di Novembre 2022: Pensa il risveglio di Alessandro Cinquegrani

 

Titolo: Pensa il risveglio

Autore: Alessandro Cinquegrani

Editore: Terrarossa Edizioni

Anno 2021

C'è un desiderio che accomuna ogni lettore ed è avere seduto davanti a sé l'autore del libro che ha letto, l'unico ad avere la certezza del contenuto e l'unico che può sciogliere dubbi e interpretazioni soggettive. Quando questo accade, il libro si prepara ad avere un destino diverso, non sarà condannato ad un posto qualsiasi nell'elenco dei libri letti ma avrà un ruolo e uno spazio più vivo, forse, perché tra quelle pagine sono stati proiettati il volto, le mani e gli occhi di chi l'ha creato. Quindi prima di addentrarci nell'analisi del testo letto in questo mese di novembre, e suggerito dal nostro conduttore Oreste, un ringraziamento di cuore va ad Alessandro Cinquegrani che ci ha regalato la sua presenza e con il quale si sono intrecciate considerazioni, riflessioni, valutazioni e confessioni sull'opera e sul segno che questa ha lasciato nelle nostre menti. 

Riuniti nell'ambiente suggestivo della Casa con l'Arco e allietati dallo scoppiettio del fuoco siamo partiti dal disorientamento provocato dalla lettura di un testo che si presenta fin da subito complesso e articolato in piani e tempi diversi. Alla sensazione di perdersi, di smarrirsi, persino di annegare di qualcuno si è affiancata l'adesione di altri che sono riusciti ad entrare nel gioco, nelle spire della storia e seguirla passo passo fino ad un approdo chiaro e sereno, lì dove tutto si svela. L'autore stesso ha confermato che questa sperimentazione era nelle intenzioni del progetto e siamo stati soddisfatti di averne preso parte.

Una volta trovata la chiave di comprensione anche per il primo gruppo di lettori l'esperienza è stata molto coinvolgente e nel corso della discussione quel risveglio si è fatto chiaro ed evidente. 

Sono molti i temi trattati in quest'opera che si sviluppa su tre piani temporali: un passato storico, un presente narrativo e  futuro distopico che dà l'avvio al romanzo. 


Nel prologo si avverte la passione per la cinematografia, lo stile è straniante e proietta il lettore in un mondo altro per poi abbandonarlo e salvarlo subito dopo in una storia parallela in cui si fa la conoscenza di Lorenzo e Alberto due amici le cui storie dapprima affiancate e accomunate dalla lavorazione di un film sulla fine del nazismo e sui principi che lo reggevano, subiranno una cesura con la sparizione di Lorenzo. Si segue così la vita del narratore (si scoprirà solo verso la fine il suo nome: Alberto) che all'inizio si mette alla ricerca dell'amico e poi si appropria della sua vita, del suo lavoro, della sua casa e persino di sua moglie vivendo una vita parallela che si scoprirà solo verso la fine non è quella reale. 

L'oscillamento continuo della storia, se all'inizio può essere disturbante, mano a mano che si legge agisce sull'abitudine e ci si lascia velocemente trasportare in un ritmo che presto si scopre equilibrato nelle simmetrie: Alberto e Lorenzo, l'architetto Albert Speer e Joseph Mengele, il mondo di sotto e il mondo di sopra. Un dualismo che muove la prima domanda e che è anche forse il nucleo del romanzo: si può declinare il male? O in quanto tale va condannato senza riserve? I due personaggi Mengele e Speer, colpevoli entrambi delle stesse efferatezze, vivono la loro colpevolezza in modi differenti: il primo segue una linea coerente e sparisce con la sua valigia contenente la sua identità, il secondo resta presente ad un compromesso che mescola verità e bugia e che lo assolverà dopo qualche anno di carcere. Anche i protagonisti del romanzo sono antitetici rispetto alla coerenza del lavoro che stanno svolgendo. Lorenzo sceglie di sparire per restare fedele alle sue idee, Alberto accetta il compromesso della vita che gli si svolge davanti. Scomparire è un verbo predominante in questo testo per stessa ammissione dell'autore che ritrova questo istinto anche nella sua indole personale. Ci si interroga su quale sia lo sblocco a questa condizione, quando un uomo  deve fare i conti con lo spazio e il tempo che occupa in questa vita. Ed è il messaggio finale del libro che ci dà la risposta: è il risveglio alla vita, e con essa al senso di responsabilità, la riemersione dal mondo di sotto, la spinta che ci fa lasciare il segno nel mondo, e che si realizza pienamente con il miracolo della nascita, l'evento che cambia identità ad un uomo facendolo diventare padre e in qualche modo radicandolo.


Si apre una parentesi, sulla scelta delle donne 
del romanzo di sottoporsi alla villocentesi e sulle reazioni di Alberto nei due momenti della storia, la prima aggressiva e la seconda accondiscendente e comprensiva. Può essere intesa anche questa una forma di selezione eugenetica,  la stessa che si ritrova nel futuro dispotico, e che ci angoscia così tanto? è paragonabile? ci si chiede, e la risposta lascia molti dubbi.  

Nel prosieguo della discussione si fa sempre più chiara l'architettura del libro tanto che riusciamo a muoverci tra i mondi in modo più agevole, l'architettura è molto presente in questa opera, tre sono i protagonisti che si occupano di questa disciplina così affascinante e così ricca di sfumature, la passione per questa arte si ritrova in pagine dalle descrizioni molto belle e quasi poetiche sul valore del tempo e sulla sua accettazione dei segni visibili; ricorre le parola crepa molte volte e diverse sono le occasioni di "vedere"  rovine, usura, consunzione. 


E' stato molto interessante l'uso della lingua e la diversità degli stili utilizzati, hanno aiutato lo trasmigramento da un piano all'altro, descrizioni accurate e particolari, pagine raffinate, dettagli introspettivi, immagini più crude e calate nel reale, passaggi dalla prima alla terza persona, una sperimentazione linguistica che si è rivelata uno strumento all'interno del testo per la comprensione finale di un libro la cui complessità è un grande valore. La stessa complessità ha invitato ad una questione a margine della discussione che riguarda lo scenario attuale della letteratura, approfittando anche del  ruolo di docente universitario del nostro autore: è ancora possibile una scrittura "leggera", la leggerezza di Calvino, per intenderci, quella capace di ironia e di malinconico abbandono o i tempi moderni e la ricerca editoriale attuale è proiettata in altre dimensioni? La tendenza sembra privilegiare la scrittura veloce e accattivante senza approfondimenti sostanziali. Ma il nostro gruppo si sa ama le controtendenze e qualche nome (Bolano, Sebald)  è stato già fatto e sicuramente ci porterà ad altre corpose discussioni.

E visto che ci contraddistingue anche la capacità di analisi complessiva del libro che leggiamo ringraziamo la nostra libraia Nadia per l'esame dell'oggetto libro che fa un plauso a Terrarossa Edizioni per la scelta della carta, del formato del libro e per le scelte coraggiose sostenute con coerenza che producono piccoli capolavori come questo.

Le immagini contenute sono opera del lavoro prezioso e creativo di Oreste Sabadin #disegnaresuilibri

20 ottobre 2022

79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica - settembre 2022



Film visti in decentramento da
La Biennale di Venezia al Candiani di Mestre

Tutti in lingua originale



Venerdì 2  Venezia 79

TÀR di Todd Field (USA) 158’ - drammatico - Coppa Volpi alla migliore attrice Cate Blanchett - Buono! Consigliato da vedere

Molto riflessivo, la musica c’entra, ma soprattutto il “potere personale” e le sue possibili deviazioni. Spero non venga tagliato in una versione commerciale più breve, che rischiando di tenere le cose più eclatanti, taglierebbe le parti più importanti fatte di riflessioni, ragionamenti e momenti cinematografici intensi.

Sabato 3 Venezia 79

ATHENA di Romain Gavras (Francia) 97’ - attualità/drammatico/azione - Buono!

Molto violento. Il girato, con immagini e suoni (molto presenti, assordanti) è molto dinamico e coinvolgente. Tema caldo: violenza neonazista, rivolta in quartiere arabo. Quattro diversi fratelli coinvolti. Il tutto attualissimo, girato come fosse un film di eroi d’altri tempi. Almeno secondo me.


Domenica 4 Venezia 79

ARGENTINA, 1985 di Santiago Mitre (USA/Argentina) 140’ - ricostruzione realtà/politico - Buono, da vedere!

É la ricostruzione della preparazione al processo a Videla e gli altri generali della dittatura. Il film è fatto bene. Inoltre è sempre bene ricordare.


Martedì 6 Venezia 79

LOVE LIFE di Kôfi Fukada (Giappone/Francia) 123’ - drammatico

Buono!

Una storia (triste) molto giapponese. Lutto e dolore profondo. Ambienti famigliari e sociali.


Mercoledì 7 Settimana della critica

DOGBORN di Isabella Carbonell (Svezia) 84’ - drammatico

Buono. Da vedere.

Temi attualissimi: sfruttamento sessuale ragazze e bambine. Coinvolgimenti a delinquere di disperati emigrati da ex Jugoslavia. Perbenismo e falsità della società svedese.

Fuori concorso

KÕNE TAEVAST di Kim Ki-Duk (Estonia/Lituania) 87’ - drammatico

Buono.

Sull’amore ossessivo, sulle conseguenze di una passione violenta. A metà tra l’incubo e la realtà. “Il cinema di Ki-Duk è sempre stato sospeso tra la leggerezza del sogno e la greve ferocia della realtà”.

È un’opera postuma, montata dagli amici del regista coreano come omaggio al suo lavoro, dopo la sua scomparsa nel 2020.


Giovedì 8

In libreria Heimat per la presentazione di: Pascoli di carta di Giannandrea Mancini. Kellerman editore. Un libro inchiesta sulla speculazione delle compravendite dei terreni in montagna). Interessante.

Fuori concorso


Venerdì 9

Settimana della critica

DA LISTE VIDELI OVU ZENU (HAVE YOU SEE THIS WOMAN) di Duśan Zorić e Matija Gluščević (Serbia/Croazia) 79’

Buono. Da vedere (sempre se abbiate voglia di farvi un po’ sconvolgere”)

Molto rumoroso, suono usato in modo oppressivo e violento, sia come “rumore urbano” sia in per la musica ossessiva, ma coerente con la linea espressiva del film. Anche l’uso della telecamera è molto vario e poco ortodosso.

Tre situazioni, tre diverse declinazioni dello stesso personaggio, Draginja: in una di esse, trova un cadavere che lo somiglia, in un’altra ingaggia un finto marito da mostrare alle amiche, nella terza vaga senza memoria per le strade.”

Spiazzante, sia per le trame a volte assurde, sia per come è girato (work in progress, quindi non con stile continuativo), dove il corpo è «politico nel suo essere “non conforme”, alla conquista dello schermo e di uno suo spazio nel mondo».

Orizzonti

LUXEMBURG, LUXEMBURG di Antonio Lukich (Ucraina) 106’ - drammatico Buono.

Anche qui due fratelli gemelli a confronto, uno troppo serio e prudente che fa il poliziotto, l’altro delinquente da quattro soldi, spacciatore e truffatore alla buona. Alla notizia del padre morente (che li ha abbandonati e che nei ricordi era un mafioso violento, negativi per uno, positivi per l’altro) in Lussemburgo si mettono alla sua ricerca.


Sabato 10

Settimana della critica

MALIKATES (QUEENS) di Yasmine Benkiran (Marocco) 83’ - Avventura/drammatico Buono.

Casablanca, Marocco. Un trio di donne, con la polizia alle calcagna, intraprende una lunga fuga che le porta ad attraversare le aspre terre rosse e le valli fiorite dell’Atlante per raggiungere il mare. Qualcuno lo ha subito definito un Telma e Louise in salsa marocchina. Ma a me sembra riduttivo. Non è certo un “filmone”, ma si può vedere e apprezzare nella sua specificità.

Anche se rimane tutta la drammaticità, risulta una visione più “leggera” di altri. Personali perplessità sugli effetti della scena finale. In generale il film è girato in modo semplice, diretto.


Venezia 79

KHERS NIST (GLI ORSI NON ESISTONO) di Jafar Panahi (Iran) 107’ - drammatico - Premio speciale della giuria

Buono. Da vedere.

Il regista, incarcerato in Iran per aver sostenuto la causa di un collega ingiustamente incarcerato, racconta sia storie d’amore tormentate dalla forza della superstizione e dalle dinamiche del potere (locale, nazionale, patriarcale e altro) sia la sua storia di regista costretto al confino che cerca di dirigere le scene del suo film in collegamento streaming.

Ha vinto


Domenica 11

All the Beauty and the Bloodshed di Laura Potras (USA) - Leone d’oro

Buono. Da vedere

Film documentario che esplora la vita e la carriera della fotografa statunitense Nan Goldin. Racconta della sua rocambolesca vita, del suo fare arte e documenta la sua lotta contro la famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma, ritenuta responsabile dell'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti.

Utile sia per la conoscenza del problema dell’assuefazione ai farmaci e alle speculazioni relative, sia per una riflessione sul fare arte, sulla forza espressiva e il valore di certe scelte lontane dai canoni di “bellezza” perbenismo” “convenzioni” e del valore di saper cogliere e dare voce a momenti difficili della esistenza umana.

Oreste 


Jhumpa Lairi - Traducendo Metamorfosi di Ovidio

Jhumpa Lahiri: la violenza e la bellezza in Ovidio vanno trasformate per i nuovi lettori


CLASSICO E CANCEL CULTURE. La scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, lavora a una nuova traduzione del poema: qui racconta la sua esperienza didattica a Princeton

Barbara Graziosi, PRINCETON, NEW JERSEY


Come leggere i classici è una domanda a cui mi sembra importante rispondere non solo a

livello di teoria, ma anche in pratica, considerando, per esempio, in che modo fare lezione.

Devo a Jhumpa Lahiri, la scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, una delle esperienze più belle di quest’anno: abbiamo condiviso l’insegnamento di un corso sui

grandi classici della letteratura occidentale, tra cui le Metamorfosi di Ovidio. Adesso, nel caldo estivo, possiamo prenderci un momento per riflettere su quello che, insegnando, abbiamo imparato anche noi.

Una delle questioni centrali ha riguardato il rapporto tra immaginazione letteraria ed esperienza vissuta sul corpo. In un momento in cui, negli Stati Uniti, le donne stanno perdendo il diritto all’aborto, anche in caso di stupro, ci siamo chieste quale fosse la maniera più giusta per parlare agli studenti di violenza sessuale e, specificamente, della metamorfosi limitante che, in Ovidio, sempre ne consegue: dopo un atto di violenza, infatti, il personaggio umano si trasforma in un essere inferiore – animale, albero, sasso.

Come utilizzare le problematiche di oggi per interpretare i testi antichi? E viceversa, come trovare nelle Metamorfosi una chiave di lettura per la realtà presente? Allo stesso tempo, ci è sembrato importante insistere, a lezione, sulla distanza tra letteratura e vita. A qualche mese dalla chiusura del corso, vorrei riprendere il filo della conversazione e ascoltare le tue riflessioni.

«I testi antichi sono modernissimi e le Metamorfosi in particolare, motivo per cui sto traducendo il poema di Ovidio insieme alla nostra collega Yelena Baraz. Ovidio parla dimitologia: storie che non appartengono a nessuno ma che riguardano tutti. Nel poema, meravigliosamente caotico, incontriamo tutti i temi più attuali e scottanti, con un interesse particolare per l’appartenenza, l’identità e il genere. Ovidio si interroga su ogni tipo di confine e di classificazione che ci sia: uomo-donna, animale-essere umano, parola- immagine, terra-spazio, vita-morte. Parla anche molto di disastri naturali e degli effetti del cambiamento climatico. Da lettrice e traduttrice percepisco poca distanza fra quest’opera letteraria e la realtà di oggi. Più traduco questo testo e più mi sembra cruciale trasformarlo e presentarlo a una nuova generazione. Ovidio ci fa capire, per esempio, come il silenzio tutt’ora possa seguire e occultare una violenza sessuale. La vera minaccia sta proprio nel silenzio e nella presunzione anticipata del silenzio. Le vittime, in Ovidio, sono prive di voci, sono estraniate e ferite, non si riconoscono più. Trovo che l’empatia e l’intuizione di Ovidio verso i personaggi femminili siano straordinarie. Quanto al diritto all’aborto: qual è la differenza, mi chiedo, fra gli dèi che governano tutto, nell’universo ovidiano, e la Corte Suprema degli Stati Uniti? Ci sentiamo, giustamente, impotenti, frustrati, anche ribelli. Ma alla fine dobbiamo accettare una realtà amara: il mondo non è sotto il nostro controllo. Questa è una lezione ovidiana, tra l’altro: nelle Metamorfosi, come dicevi tu, si vede continuamente l’effetto degradante del potere».


Ricordo che una studentessa, parlando di stupro, ha proposto un paragone tra l’effetto della bellezza femminile sull’uomo e quello della poesia di Ovidio sul lettore: «Le “Metamorfosi” sono così belle che a volte mi forzano a fare dei pensieri che non vorrei nemmeno concepire: per esempio mi immedesimo con Apollo mentre Dafne scappa disperata. Si parla sempre della violenza degli uomini sulle donne, ma leggendo Ovidio ho cominciato a pensare all’effetto che la bellezza può avere su chi guarda o anche solo su chi legge –un effetto che può risultare nocivo e provocare ostilità». Ho fatto del mio meglio per rispondere in quell’occasione: mi chiedo, Jhumpa, che cosa avresti detto tu sulla bellezza e i suoi effetti...

La bellezza in Ovidio è, in primo piano, la bellezza della sua poesia, la bellezza della forma del testo stesso. Troviamo la parola forma nel primo verso (In nova fert animus mutatas dicere formas / corpora...) e poi compare dappertutto. Forma, come sai bene, è una parola estremamente ricca in latino. Vuol dire tante cose, fra cui aspetto, immagine, costituzione, bellezza, figura. Tornando a Dafne: lei supplica il padre: ‘fer, pater’ inquit, ‘opem, si flumina numen habetis; / qua nimium placui, mutando perde figuram.’ (“Aiutami, padre”, dice. “Se voi fiumi avete un potere divino, sciogli, mutandola, questa mia forma, per cui troppo piacqui”, 1, 546-7). Io leggo figuram in questo passo come una versione di forma. In Ovidio le parole sono fluide, cangianti, spesso i termini scivolano l’uno dentro un altro. Ossia è la bellezza, cioè la figura (o forma) di Dafne che va mutata. Interessante che questi versi cruciali su Dafne richiamino l’incipit del poema, anche con lo stesso verbo mutare. Allora, cosa ci sta dicendo Ovidio? Credo che, per lui, ogni cosa al mondo vada cambiata e che cambierà. La bellezza fisica è per definizione qualcosa di caduco, effimero. La bellezza della poesia permane, ma va anch’essa trasformata (e tradotta) per nuovi lettori. Alla studentessa direi che è importante immedesimarsi ogni tanto anche nei punti di vista più antipatici e violenti. Solo la letteratura ci permette questa esperienza ed è necessaria per la nostra umanità, soprattutto in questo momento in cui quasi tutti scalpitano per giudicare, criticare e cancellare gli altri. Sulla bellezza poi, dobbiamo distinguere fra bellezza fisica e superficiale, che poi per forza scompare, e bellezza sfolgorante delle parole plasmate dal poeta, che ci parlano e ci scuotono ancora.


Parlando di cambiamento, c’è sempre un momento, nel corso di una metamorfosi ovidiana, in cui il soggetto non è più quello che era, eppure non ha ancora preso nuova forma. È un momento che, lo so, ti interessa anche dal punto di vista linguistico. Ho imparato molto, ascoltandoti e leggendo il testo di Ovidio, sia in lingua originale che in traduzione, insieme agli studenti: per esempio, siamo andati a cercare il passo in cui Atteone non è più uomo ma nemmeno completamente cervo. Mi chiedo, tra tutti gli episodi di trasformazione e identità sospesa in Ovidio, quali siano i tuoi preferiti. Mi sembra, poi, che le «Metamorfosi» possano riflettere la tua esperienza di scrittrice, sospesa come ti trovi tra lingue e culture diverse.

Ogni trasformazione in Ovidio mi commuove. Rispondo sempre allo smarrimento che accompagna il mutamento, lo stato sospeso e silenzioso, la mancanza di un solo punto di riferimento: tutto ciò spiega la mia condizione personale e creativa e la mia nuova attività di traduttrice. Secondo me il capolavoro di Ovidio è un omaggio continuo, forse inconscio, alla traduzione, all’idea di esistere fra due realtà, di scavalcare i confini, di guardare allo stesso tempo indietro e avanti. A parte Dafne, con cui mi identifico, amo particolarmente, nel terzo libro, la trasformazione di Eco in sola voce e, nel quinto libro, la trasformazione di Aretusa in acqua.


Per molti anni hai diretto, a Princeton, il programma di scrittura creativa. Da quello che mi racconti e dai corsi che hai proposto in quel contesto, imparo, che per te è importante leggere in maniera creativa, prima ancora di cominciare a scrivere. Forse allora bisognerebbe pensare alla figura dell’autore non solo in termini di originalità ma anche di metamofosi – tra lettura e scrittura, tra opera antica e libro futuro, tra ascolto e parola. Che cosa dici agli studenti, quando si presentano da te, in classe, col desiderio di imparare la creatività?


Ovidio è un po’ fissato con le origini. Il primo libro si conclude con la parola ortus: il nascere, il principio, il sorgere. Parla di Fetonte, un ragazzo che va in cerca del padre per capire chi sia. Finisce in tragedia. In generale, nelle Metamorfosi, c’è un’attenzione particolare alle origini dei personaggi, alla provenienza, solo che poi i personaggi cambiano, radicalmente, e le origini hanno poco a che fare con le loro nuova identità. Ovidio allora ridefinisce la parola «originale», anche perché la sua opera è poi una rilettura

e una ricostituzione della mitologia, della geografia e dello spirito della Grecia antica. Morale: anche le origini sono instabili, fluide, e vanno interrogate, riconsiderate. Nel mio piccolo, ora che traduco me stessa dall’italiano all’inglese, non so più cosa significhi un testo originale. Agli studenti, in ogni caso, dico sempre le stesse cose: leggete, imparate nuove lingue, apprezzate e rispettate la forza della letteratura, amatela.