Libro:
L’ACCUSATA
Autore: Slavenka Drakulic
Editore: Keller
Anno: 2016
Pg: 224
Autore: Slavenka Drakulić nata a Rijeka nel 1949. Scrittrice,
giornalista e saggista nota in Italia per i contributi sul mondo comunista e
post-comunista come Balkan Express e Caffè Europa (Il Saggiatore), nonché di
romanzi come Pelle di marmo (Giunti), Il gusto di un uomo (Il Saggiatore), Come
se io non ci fossi (Rizzoli), Il letto di Frida (Elliot). Nel 2004 l’autrice ha
ricevuto il premio Award for European Understanding della Fiera del libro di
Leipzig.
Il romanzo
racconta una storia vera e si apre con una giovane donna, mai nominata, come
pure gli altri protagonisti, che si trova in un’aula di tribunale dove si sta
svolgendo il suo processo per l'uccisione della madre. Appare subito la
particolarità della reazione della protagonista all'evento che la interessa e
che sarà il filo conduttore di tutto lo svolgimento del racconto, ossia il
silenzio: la donna non parla, non si difende, non racconta le sue
motivazioni, il suo dramma, non cerca attenuanti, non dà giustificazioni. A
questo silenzio esteriore risponde, invece, con un lucido flusso di coscienza
fatto di riflessioni e ricordi. Ascoltando la sua voce interiore il lettore
conosce la realtà della sua famiglia, le violenze psicologiche e fisiche
perpetrate prima dalla nonna alla mamma e poi dalla mamma alla figlia in una
sorta di percorso circolare che esclude le figure maschili e arriva a
trascinare, sia pure in modo simbolico, persino la bambola della piccola
protagonista.
Una storia famigliare drammatica e spietata, che si svolge all'interno
delle mura domestiche in religioso silenzio per evitare di esporre la vergogna
al giudizio sociale. Una situazione compressa dove le persone, incapaci di
esprimere emozioni, programmaticamente le soffocano. È un legame malato e morboso che risponde alla fiducia
incondizionata nell'amore materno, una fedeltà che accompagna la protagonista
fino al gesto estremo di eliminazione dell'origine del male piuttosto che della
sua denuncia pubblica. In questo gesto che molti di noi hanno trovato quasi
salvifico e liberatorio, Piera vi vede invece una continuità, una obbedienza
all'educazione materna che continua ad imporre il silenzio.
Abbiamo
apprezzato questa scelta di lettura sia per il tema delicato e impegnato
sia per lo stile in linea con la durezza della tematica: uno stile secco,
essenziale, segmentato, incalzante e veloce. Il romanzo si lascia leggere quasi
tutto d'un fiato anche se qualcuno ha dovuto fare delle soste per riprendere il
respiro affaticato dall'incombere degli eventi. La spersonalizzazione dei
protagonisti (privi di nome e di descrizione) non ci ha impedito di partecipare
al dramma degli individui.
L’argomento
narrativo, ossia la storia vera di un legame ossessivo e morboso espresso con
particolari cruenti, ha lasciato spazio ad una riflessione interessante sulla
produzione letteraria avente per oggetto storie tristi e dolorose e di
come il rischio di trovarsi davanti una cronaca che muove commozione gratuita e
un compatimento fine a se stessi, possa essere schivato quando vi si riconosce
l'impegno dell'autore a scavare e graffiare le coscienze. E’ solo davanti a
queste opere che raccontare il male assume un senso che si dilata nel
coinvolgimento personale ed emotivo e nell’eterno dualismo teologico bene/male,
motore del mondo. Davanti al male possiamo abbandonarci a riflessioni, confronti,
proiezioni del nostro sentire, ci possiamo indignare ed è così che la
letteratura esprime la sua utilità, quando può diventare una lezione morale,
quando le descrizioni delle torture, delle sevizie non rispondono ad una
missione estetica ma rappresentano quasi uno strumento pedagogico. Non sempre
la letteratura deve confortare, spesso affrontare argomenti scomodi,
parlare del male lo distrugge e ci salva.
La levatura
di questo romanzo si riconosce anche dalla ricerca lessicale che Patrizia ci ha
aiutato ad evidenziare. Nella sua interessante analisi semantica abbiamo
sentito ricorrere la presenza di sostantivi e aggettivi duri, violenti,
freddi che dosati e distribuiti con sapienza hanno contribuito a
catturare il nostro interesse e a partecipare a questa storia così
tremendamente faticosa.
Molte le
metafore crude (tessuto superfluo, carta vetrata, catrame fuso, piombo
rovente, cordone d’acciaio) e altrettante le parole dure: ferocia,
spavento, veleno, disturbo. Aggettivi e sostantivi limati per descrivere
l'ossessione del rapporto oggetto del racconto.
Una
ossessione che diventa malattia, Rita vi ha riconosciuto la sindrome di
Stoccolma (vittima e carnefice stretti insieme in un rapporto inscindibile ed
esclusivo), una dipendenza che si ripete e si trasferisce di generazione in
generazione in modo circolare coinvolgendo le donne e il loro ruolo materno,
quel legame forte che se non si perfeziona con il lasciare andare i figli
facendo un passo indietro porta con sè il pericolo di rimanerne avvinghiati
senza scampo; ed ecco che la figura della madre può, talvolta,
trasformarsi in una presenza mostruosa che nasconde le sue debolezze con
la violenza. E' una relazione difficile raccontata, secondo Tiziana solo attraverso
i fatti senza una vera analisi psicologica.
Molto
interessante l'analisi di Patrizia che ha cercato di spostare il gesto cruciale
della storia, l'uccisione della madre, nel grande mondo del mito, dove il
legame figliale è sempre al centro di gesti estremi e sacrificali.
Oreste ci ha
invitati a riflettere su alcuni nodi presenti in questo romanzo: il ruolo
marginale quasi assente della figura maschile, lo svolgersi del tempo, la fedeltà/omertà
nei legami, del rapporto pericoloso tra amore e possesso, delle confusioni
e malintesi che ne derivano, il silenzio oscuro dell’ipocrisia e infine la
possibilità di una qualche salvezza.
Il senso del
tempo in questo romanzo è presente nel fluido narrare della protagonista: il
passato ne occupa la gran parte con qualche flash sul presente scandito dagli
inserti sullo svolgimento del processo,con un linguaggio freddo tecnico o
burocratico e impersonale, a sancire la distanza tra la “vita” della
protagonista e questo momento di passaggio, obbligato e formale, tra il prima e
il dopo. Tullio suggerisce quasi uno slittamento di piani cinematografico. Il futuro fa la sua apparizione e
nonostante sia in parte occupato dalla prospettiva della reclusione ha in sé il
senso di liberazione forse l'unica forma di emozione positiva che riesce a
trasmettere la protagonista.
Il ruolo
della figura maschile trova uno spazio ai margini della storia, gli uomini non
hanno la forza sufficiente per entrare nel meccanismo così esclusivo del
rapporto femminile e risultano inconsistenti, evanescenti, attori non
protagonisti.
Non è
mancata nella nostra discussione la riflessione sull'oggetto libro. Grazie a
Nadia che opera nel settore e che ci regala sempre piccole e curiose
informazioni per apprezzare anche la forma e i materiali utilizzati per la
confezione del libro. Carta, formato, copertina rappresentano la carta di
identità del testo e ci restituiscono le scelte dell'editore. Tra le tante
curiosità Nadia, ci ha fatto cogliere l'impercettibile particolare della
rigatura di copertina la sua orizzontalità che riesce a rendere meno rigido e
formale il contenitore e quasi più accogliente. La forma comoda ed elegante ed
una carta piacevole al tatto e alla vista riescono ad arricchire un testo che
ci è piaciuto e che consigliamo di leggere.
E infine
anche in questo incontro non sono mancati i suggerimenti di lettura, eccoli:
Le nozze di Cadmo e Armonia _Roberto Calasso
Eliete - Dulce Maria Cardoso
Il Dono - Toni Morrison
Eredità - Vigdis Hjort
Donne che parlano - Miriam Toews
Lo straniero - Albert Camus
Grazie a tutti i partecipanti e alla prossima lettura.